
Quest’espressione d’imperituro amore, fu utilizzata per la prima volta da un simpatico ubriacone che tutti noi conosciamo, per forza: vuoi per passaparola – magari da un amico che avendolo scoperto per la prima volta è uscito letteralmente fuori di testa e che, da quel momento, non siamo più riusciti a schiodarlo da lì: quando parlerà di lui avrà sempre quella riconoscibile espressione estasiata; vuoi, dicevo, per nostra personale e diretta lettura, attraverso uno dei suoi tanti e allucinati romanzi o racconti: sto parlando di quel giocherellone che riusciva a tessere le lodi di prostitute in camicia da notte; di quel lardoso reietto della società che si aggirava moribondo – nei suoi romanzi, ma plausibilmente nella sua di realtà – per le corsie ospedaliere, chiedendo, a tutti gli infermieri di turno, se da qualche parte poteva recuperare un ultimo goccetto per la nottata, tutto qui… Sto parlando, avrete ormai capito benissimo, ovviamente di Charles Bukowski.
Ebbene. Nella sua commovente e appassionata introduzione al romanzo “Ask the Dust” (“Chiedi alla polvere”) il Nostro non fa giri di parole. È schietto, sincero, come non lo è mai stato. Colui che ha scritto questo romanzo lo ha colpito, immediatamente. È riuscito a fare breccia con un solo colpo fra tutti quei scrittori che, all’epoca – sempre secondo il Nostro, erano solo intenti ad architettare strutture artificiose, giochetti di parole, e basta. “It seemed as if everybody was playing word-tricks, that those who said almost nothing at all were considered excellent writers”.
Questo scrittore a lui sconosciuto, era del tutto avulso da quella realtà letteraria ormai letta, insegnata, assorbita e trasmessa, e che andava ad incrementare goffamente la “delicatezza di mestiere e di forma” che azionava quel “confortevole macchinario” che era il mondo della cultura; questo scrittore, era di gran lunga estraneo alle logiche patinate e insignificanti proprie di quella cultura, poco dedita a raccontare la vita reale, la vita quotidiana di tutti i giorni; questo scrittore, paradossalmente alla portata di tutti, fu però scoperto solo alla fine, con un imperdonabile ritardo… Ma per fortuna… Questo scrittore, troppo importante per non essere ricordato, lo ha salvato, ha salvato il nostro Charles (ed è tutto dire!). Come salverà tutti coloro che impareranno a conoscerlo, ad amarlo.

In quel periodo buio in cui si intrufolava nella biblioteca pubblica di L.A. – con la speranza di leggere qualcosa che riguardasse la strada, le persone che la popolavano, o semplicemente se stesso racchiuso in una di quelle mille storie – il Nostro Charles ebbe una vera e propria folgorazione: “One day I pulled a book down and opened it […]. I stood for a moment, reading. Then like a man who had found gold in the city dump, I carried the book to a table. The lines rolled easily across the page, there was a flow. Each line had its own energy and was followed by another like it. […] The beginning of that book was a wild and enormous miracle to me. I had a library card. I checked the book out, took it to my room, climbed into my bed and read it, and I knew long before I had finished that here was a man who had evolved a distinct way of writing. […] written of and from gut and the heart.”
Sì, proprio così. Tutti coloro che hanno avuto la fortuna e la possibilità di sfogliare anche per una sola volta uno dei suoi tanti romanzi la penseranno esattamente come lui: la scrittura di John Fante è proprio come dice il Nostro buon vecchio Charles: è una scrittura di “pancia”, ma soprattutto una scrittura che proviene dal cuore. L’impeto che la caratterizza tra le pagine si sviluppa in quella scorrevolezza che non ti annoia mai, pronta, di quando in quando, a sfoderare un acume di sensibilità capace di farti rizzare tutti quanti i peli in tuo possesso, all’unisono: indice del fatto inequivocabile di aver ricevuto un’autentica scossa, un’emozione inaspettata, e che la tua mente, non lasciandola di certo sfuggire, l’ha infine trasmessa a tutto quanto il tuo corpo, per poterla poi liberare.
La vera sostanza di ogni sua riga dona alla pagina una forma, un sentimento di un qualcosa che si incastona in essa. Dietro le sue pagine c’è sicuramente un uomo che non ha paura delle emozioni, di quelle emozioni forti, alle volte davvero crudeli, ma terribilmente umane. L’umorismo e il dolore per le vicende narrate vengono mescolate, si avvinghiano e si fanno forza reciprocamente, con una caparbia e superba semplicità. È questo John Fante quando lo leggi per la prima volta: la consapevolezza travolgente di aver trovato finalmente un compagno fidato.
La mia relazione personale con lui è sempre stata un po’ strana; forse un po’ simile a quella del buon vecchio Charles… Ed è forse proprio per questo se ho chiesto a lui un valido aiuto per presentarvelo.
John Fante per me è sempre stato la mia biblioteca preferita, il mio posto pubblico preferito, nella mia città preferita… Nella mia poltrona preferita, con la mia versione di me preferita: immerso e circondato da un’ondata di libri infinita… Quando volevo staccare da ogni cosa, e quando volevo dedicarmi del tempo per una lettura solo mia e che sapevo che sarebbe rimasta vivida e introiettata negli anni, sapevo a chi chiedere tutto questo con un semplice gesto: cominciare a leggere una delle sue frasi, una delle sue rincuoranti righe. Sapevo esattamente quindi dove andare a cercare per coccolarmi un po’, per non avere momentaneamente più problemi col resto del mondo.
Non nascondo di averli letti quasi tutti i suoi libri. Vi chiederete quindi cosa ci sia di strano in questa specie di storia d’amore: se ti piace uno scrittore, prima o poi, compri tutto il comprabile e fai incetta dei suoi volumi, anche di quelli introvabili! (se proprio sei un fissato e sei letteralmente un impazzito cronico). Il fatto curioso però è che non possiedo una sola copia dei suoi libri; o meglio ne ho solo una, ma in lingua originale, comprata quasi contro la mia volontà, giusto per averne una… Perché lui per me è ed è sempre stato tutt’altro dal semplice possederlo nella mia piccola libreria; è ed è sempre stato tutto quello che vi ho detto prima: un semplice luogo, un luogo pubblico lontano che, benché ora sia difficilmente raggiungibile, è rimasto per sempre con me, e da allora non mi ha mai più abbandonato: mi ha fatto sempre una calorosa compagnia.
Ora potrei citarvi, oltre all’opera già ricordata e d’altronde la più famosa, introdotta al mondo da Bukowski, tutte le sue altre pubblicazioni, che completano, con quest’ultima, l’irresistibile saga di Arturo Bandini, praticamente il suo alter-ego messo in scena. E potrei anche dirvi che è nato in America, a Denver, ma che è praticamente di sangue italiano (e che italiano!). Potrei dirvi anche che ha vissuto un’infanzia travagliata e che la povertà in cui ha quasi sempre vissuto lo ha portato a spostarti nella città di Los Angeles… Però penso che, per questo tipo di informazioni, e per questo tipo di curiosità, Wikipedia sia abbastanza affidabile; quindi se volete, se davvero ci tenete a voi, alla vostra lettura di compagnia, davvero, fate da voi.
Il fatto non-sorprendente però, veritiero al massimo, e che non vi lascerà di stucco, quindi un fatto molto scontato, è il seguente: John Fante tutte le volte che scrive, ogni volta che tramite la sua scrittura vi cattura e non vi lascia un attimo perdere per vostra volontà; tutte quelle volte che vi dedicherete a lui non farà che scrivere di se stesso, della sua vita… Scriverà a se stesso e per se stesso, ed è la sua disarmante sincerità, legata ad una lealtà fuori dal tempo, che lo farà entrare irrimediabilmente nei vostri cuori.
Non vi mentirà mai, non vi deluderà, mai. E tutte le volte che lo vorrete lui sarà lì, e vi farà assaporare i profumi de cibi italiani preparati pazientemente dalla sua leggendaria mamma, che con il suo impareggiabile “pantofolare” si aggira sempre trafficante per le poche stanze minute della casa; vi porterà a pranzo col suo odiato/amato padre nella sua ‘Confraternita dell’uva’, dove tutti i vecchini di origine italiana come lui parlano un italiano sgangherato, e si ubriacano, come se non ci fosse davvero un domani. Vi farà vedere le sue ambizioni; vi farà toccare le sue aspirazioni… Ve le mostrerà e vi dirà che, fra non molto, molto presto, diventerà lo scrittore di successo più importante che abbiate mai conosciuto nella vostra vita. Vi trasporterà con una dannata semplicità nei suoi dolori amorosi non corrisposti. Nelle beghe interminabili che riguarderanno ritardi imperdonabili di pagamenti di camere in affitto in pendenza.
Alla fine avrà addirittura il coraggio di invitarvi a raccogliere con lui i cocci frantumati di quelle sue aspirazioni, di quelle forti e longeve sue ambizioni, che sono anche in fondo le nostre, e che mai, nemmeno per una pagina, neppure per una violenta sbandata riga, lo hanno abbandonato alla disillusione che padroneggia ormai oggi nel mondo.
Vi lascio, a mio modo di sentire, ad uno dei suoi incipit più clamorosi, oltre che più famosi, affinché John Fante diventi definitivamente tutto vostro. Buona lettura:
“One night I was sitting on the bed in my hotel room on Bunker Hill, down in the very middle of Los Angeles. It was an important night in my life, because I had to make a decision about the hotel. Either I paid up or I got out: that was what the note said, the note the landlady had put under the door. A great problem, deserving acute attention. I solved it by turning out the lights and going to bed.”
Francesco Paolo Cazzorla ( Zu Fra )
Se hai trovato interessante questo articolo “Conformista” rimani aggiornato sulla nostra pagina Facebook, oppure iscriviti alla newsletter direttamente dal nostro blog.
molto interessante, non lo conosco affatto! mi ha incuriosito.
Potrei consigliarti tutti quanti i suoi scritti, sia romanzi che racconti, senza fare alcuna distinzione. Tuttavia, se desideri un approccio più immediato, o anche se vogliamo più “impattante”, con l’autore, il capolavoro della vecchiaia “La confraternita dell’uva”, secondo me è il più indicato (o forse perché, personalmente, lo considero il libro più bello di tutti). L’edizione Einaudi, poi, riserva una magistrale premessa/introduzione di Vinicio Capossela.
grazie del consiglio.. ti saprò dire.