
Enrico Berlinguer, in due profetici discorsi del 1977, propose l’austerità come paradigma di uno sviluppo economico diverso, rispettoso dei limiti ecologici del Pianeta e dell’equità sociale tra i popoli. Allora, l’Occidente attraversava una grave crisi petrolifera, che aveva generato inflazione galoppante, disoccupazione, tensioni sociali tra sindacati e padronato. Le tesi del segretario comunista apparvero fuori luogo e furono aspramente criticate anche all’interno del suo partito, nonostante egli stesso avesse più volte rimarcato la diversità della sua proposta politica rispetto a generiche, fallimentari, ricette di tagli e sacrifici, destinate a pesare soprattutto sulla parte più debole della popolazione.
Le misure di austerità adottate in questi anni dai governi europei vanno proprio in quest’ultima direzione. Si fondano sul seguente assioma: se gli Stati mettono in ordine i loro bilanci – tagliando la spesa e/o incrementando la pressione fiscale – e implementano riforme strutturali (in primis, la deregolamentazione del mercato del lavoro), gli imprenditori torneranno a investire e a assumere rimettendo in moto l’economia.
In realtà, come riconosce ormai anche il Fondo Monetario Internazionale, tali politiche aggravano la recessione economica, deteriorano i parametri di finanza pubblica ed esacerbano le disparità economiche e sociali all’interno e tra i Paesi membri (Wolf, 2013). I dati sono allarmanti. Nella UE a 27 paesi, 123 milioni di persone si trovano in almeno una di queste situazioni: 1) hanno redditi inferiori alla soglia di povertà (fissata al 60% del reddito mediano); 2) non sono in grado di far fronte a spese impreviste; 3) vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa (Eurostat, 2012). In particolare, si trovano a rischio povertà ed esclusione sociale il 30% degli italiani, spagnoli e irlandesi, il 35% dei greci, il 20% dei tedeschi.
La povertà è conseguenza della disoccupazione e del peggioramento delle condizioni di lavoro. In tutta l’Unione, i senza lavoro sono 26 milioni (in crescita di 6 milioni rispetto al 2008), a cui va aggiunto un esercito di persone scoraggiate (quasi 3 milioni solo in Italia), che hanno smesso di cercare un impiego. Inoltre, i giovani tra 15 e 24 anni che non lavorano sono quasi la metà del totale nelle economie dell’Europa mediterranea. Le statistiche, peraltro, non colgono il peggioramento nella qualità del lavoro, evidenziato dal crescente ricorso a contratti di lavoro temporanei (Commissione Europea, 2014). Né va dimenticato la minor accessibilità, determinata dai tagli della spesa sociale, a servizi pubblici quali la sanità, che porta molte persone a rinunciare alle cure (Stuckler e Sanjay Basu, 2013).
Di fronte a questo dramma economico e sociale, la risposta tedesca è obbligare i Paesi del Sud Europa a inasprire ulteriormente i propri vincoli di bilancio – seguendo le prescrizioni contenute nel Fiscal Compact – e recuperare competitività attraverso la svalutazione fiscale e salariale. Il disagio sociale è destinato così ad aggravarsi, spingendo le fasce più deboli dei paesi periferici verso i partiti euroscettici alle prossime elezioni. D’altro canto, coloro che invocano “meno rigore e più crescita” vorrebbero attuare una generica politica keynesiana di rilancio dei consumi – attraverso una minor tassazione – di dubbia efficacia nel risolvere una crisi di tipo ecologico non meno che economico e finanziario come quella attuale.
Bisognerebbe invece indirizzare lo sviluppo economico verso traiettorie nuove, caratterizzate da buona occupazione, equità distributiva e sostenibilità ambientale; come auspicato da Berlinguer tre decenni fa. Ciò significa abiurare il dogma dell’infallibilità del mercato e programmare un ambizioso piano di investimenti pubblici nazionali e comunitari in settori strategici come: istruzione, ricerca, sanità, cultura, mobilità sostenibile, riequilibrio territoriale, energia, ambiente. Gli strumenti per finanziare questo New Deal – che richiederebbe risorse di gran lunga superiori al magro bilancio dell’Unione – sarebbero Eurobonds, tasse ambientali e sulle transazioni finanziarie, potenziamento dei fondi strutturali e una banca centrale europea profondamente riformata, che abbia come target la piena occupazione oltre che la stabilità dei prezzi.
Messa in questi termini, l’alternativa non è tra austerità o crescita (del PIL), ma tra austerità come processo di progressivo smantellamento dei diritti sociali o austerità come occasione di riconversione ecologica dei nostri consumi, produzioni, stili di vita, in un’Europa finalmente pensata non solo in termini finanziari e monetari ma soprattutto come Civiltà.
Federico Stoppa
Editing grafico a cura di Francesco Paolo Cazzorla
Riferimenti bibliografici
Berlinguer E. (2010), La via dell’austerità. Per un nuovo modello di sviluppo, Edizioni dell’asino
European Commission (2014), Employment and Social Development in Europe
Stuckler e Sanjay Basu (2013), L’economia che uccide. Quando l’austerità ci costa la vita, Rizzoli
Wolf M. (2013), How Austerity Has Failed, The New York Review of Books http://www.nybooks.com/articles/archives/2013/jul/11/how-austerity-has-failed/?pagination=false
1) Funzioni della BCE.
Obiettivi- “L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi”. Inoltre, “fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità definiti nell’articolo 2” (articolo 105, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea).
Gli obiettivi dell’UE (articolo 2 del Trattato sull’Unione europea) sono un elevato livello di occupazione e una crescita sostenibile e non inflazionistica.
http://www.ecb.europa.eu/ecb/tasks/html/index.it.html
2) Come risulta dal suo statuto, essa ha come compiti istituzionali non solo la difesa dei prezzi, ma anche la crescita economica e dell’occupazione. Rammento, per inciso, che l’attuale tasso di inflazione UE è ai minimi storici, anzi ci sono rischi reali di deflazione generalizzata.
3) Primo Levi scrive (ne ‘La Tregua’) che i Tedeschi sono arroganti. Dostoevskij scrive (‘Memorie dalla casa dei morti’): “Di certo si doveva credere un uomo molto intelligente, come accade per solito a tutti gli uomini ottusi e limitati”. L’arroganza dei Tedeschi rasenta l’ottusità, ma ovviamente c’è anche un calcolo egoistico da ‘bottegai’: l’attuale UE li favorisce ed essi inclinano irresistibilmente a prendere solo i vantaggi e non ad assumersi anche gli oneri di Paese leader (per inciso: l’Italia finora non ha preso neppure un Euro ed ha contribuito al MES in ragione della sua quota nella BCE, come la Germania in ragione della sua).
L’obiettivo della piena occupazione implica l’intervento pubblico; di conseguenza non potrà mai seriamente concretizzarsi se non verrà rimosso l’assurdo divieto imposto alla BCE di concedere scoperti di conto alle amministrazioni pubbliche (articolo 123 del Trattato UE) e acquistare titoli di debito pubblico sul mercato primario (articolo 21 del suo Statuto), prestando risorse direttamente agli Stati invece che alle banche. E’ questa la riforma statutaria della BCE a cui alludo nell’articolo.