Benché l’idea di Europa unita abbia origini più remote, Il progetto di integrazione europea prese forma solo nel secondo dopoguerra.
Era un progetto geopolitico: gli USA spinsero per la creazione di una comunità integrata di Stati europei saldamente ancorati alla NATO, che facesse da diga all’avanzamento sovietico sul fronte orientale (“to keep the Soviet Union out”). Dal canto loro, i francesi, memori delle tre guerre che sconvolsero il cuore dell’Europa tra il 1870 e il 1945, approfittano della Germania divisa e militarmente distrutta per rafforzare la propria egemonia sul continente (“to keep Germans down”).
Era un progetto economico: la costruzione di un mercato comune di materie prime fondamentali per le industrie pesanti (il carbone e l’acciaio), poi di un’unione doganale, che consentiva la libera circolazione delle merci e (in parte) della manodopera, ma limitava la circolazione di capitali, proteggeva l’agricoltura, rispettava i diversi compromessi istituzionali tra capitale e lavoro, mercato e società, a livello nazionale (“le varietà di capitalismo”).
Il progetto europeo era infine un progetto meta-economico, etico-morale, utopistico: costruire una federazione politica sovranazionale, pacifica e solidale, vincolata al rispetto dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Cosa rimane, oggi, di quel progetto?
Sul fronte geopolitico, non ci sono più i sovietici, gli USA non si interessano più al processo di integrazione europea, emergono nuove grandi potenze ostili come Cina (gigante economico e politico) e Russia (gigante politico, nano economico), mentre i flussi migratori dagli stati falliti dell’Africa minacciano di esplodere. Il progetto europeo dovrebbe essere ridefinito su questo nuovo scenario: creando una forza armata europa e una politica estera comune. Riprendendo il percorso della CED (comunità europea di difesa), interrotto dal voto contrario dell’assemblea nazionale francese nel 1954. Il problema è che non esiste un interesse strategico europeo sui principali dossier geopolitici. Esistono invece (e resistono) legittimi interessi nazionali di cui bisogna tener conto: su Africa (il caso libico con le divergenze franco-italiane); Cina (le diverse posizioni su Via della Seta e riconoscimento dello status di economia di mercato al gigante asiatico); Russia (la questione dei gasdotti, oltre che le sanzioni post-invasione della Crimea), e USA (l’atteggiamento da tenere con l’amministrazione Trump).
Sul fronte economico, l’Europa ha costruito un mercato unico – costituzionalizzando, nel Trattato di Maastricht, le 4 libertà – e una moneta unica che si regge su deflazione salariale, bilancio pubblico in pareggio, concorrenza sul mercato del lavoro e dei prodotti, crescita trainata dall’export. Il mercato unico allargato a est ha assorbito paesi fortemente eterogenei per condizioni di lavoro e livelli salariali, generando inevitabilmente dumping economico e sociale. La moneta unica e le istituzioni che la sostengono (Banca centrale europea, Patti di stabilità, Fiscal Compact, two pack, six pack, Fondo Salva-Stati) hanno diviso i paesi membri in debitori e creditori, provocando risentimento tra i popoli e bloccando qualsiasi ipotesi di approfondire l’integrazione politica. Quanto all’Europa sociale, invocata solennemente nel Trattato di Nizza (2001), resta in gran parte un mito. Se ne vede giusto qualche traccia in alcune direttive su congedi parentali, parità di retribuzione tra i sessi, orari di lavoro, tutela ambientale; o nel meccanismo dei fondi strutturali, strumento perequativo tra regioni (anche se redistribuisce meno del 2% del PIL europeo), ma spesso anche arma di ricatto finanziario per imporre riforme liberiste ai Paesi riottosi.
Se il progetto europeo si è arenato sul terreno geopolitico ed economico, è però sul piano etico-morale che ancora esercita una innegabile forza di attrazione, specie per le generazioni più giovani. Per i più giovani il progetto europeo è l’Erasmus, un grande spazio senza confini da attraversare con voli low-cost; è la possibilità di affrancarsi dallo stato nazionale, simbolo di chiusura nazionalistica, di xenofobia, di repressione culturale; è il sogno di fondersi in un demos cosmopolita che comunica in inglese, che pratica il multiculturalismo, che si batte per i diritti civili delle minoranze e la valorizzazione di ogni identità, sia essa di genere, di etnia, di religione, etc. Ma da tanti “io” divisi potrà mai nascere un “Noi”?
Occorre riconoscere che il vecchio Stato nazionale democratico era stato capace, attraverso la scuola pubblica, il welfare state, il sindacato, i partiti politici di massa, di creare solidarietà concrete tra i suoi cittadini, solidarietà che trascendevano l’identità religiosa, l’etnia e il colore della pelle, il genere, l’età.
Distrutte queste strutture a livello nazionale, non siamo stati in grado di dar vita a nulla di simile a livello sovranazionale. Il progetto europeo, così come si è configurato nel tempo, non è in grado di generare solidarietà concrete.
Federico Stoppa