In questa intervista, Il filosofo tedesco Julian Nida-Rümelin discute di migrazione da una prospettiva socialdemocratica e cosmopolita. Indicando sette postulati etici per impostare una politica migratoria che cerchi di coniugare responsabilità politica e tutela dei diritti umani.
D: Lei ha descritto la problematica dell’immigrazione come una “cartina di tornasole per l’umanità”. Le forze progressiste come possono colmare il divario tra una politica responsabile e considerazioni umanitarie?
R: La socialdemocrazia europea si trova in una situazione difficile riguardo la tematica dell’immigrazione: i suoi elettori si aspettano, molto di più degli elettori dei partiti liberali o conservatori, uno Stato forte, protettivo, che garantisca istruzione e sicurezza sociale. Questi elettori non si fidano di mercati globali della finanza e delle merci, come non si fidano di mercati globali del lavoro. Per questo, la loro solidarietà verso le persone bisognose di aiuto raggiunge un limite quando la coesione interna della società appare in pericolo e lo stato sembra impotente. Il partito italiano sorella della SPD, il Partito Democratico, ha ottenuto significativi successi elettorali solo pochi anni fa e recentemente ha perso quasi la metà dei suoi voti. Le analisi del voto hanno mostrato che il Partito Democratico ha ottenuto i risultati migliori nei quartieri a più alto reddito medio. Mentre dove è più basso è il reddito medio, i suoi risultati elettorali sono stati peggiori. Ora, ho sempre creduto che solo una politica che vada oltre la classica constituency socialdemocratica possa avere ancora successo ora, ma solo se questo non avviene a discapito della sua base sociale tradizionale. Dall’elezione di Trump negli USA, [a sinistra] siamo diventati familiari con lo schema della perdita di parte dell’elettorato della classe operaia e del lavoro tecnico specializzato a vantaggio dei conservatori e dei populisti di destra. L’immigrazione e la globalizzazione giocano un ruolo chiave in questa dinamica. Le forze progressiste devono prendere di nuovo sul serio il desiderio [da parte degli elettori] di relazioni e affidabilità, di sicurezza sociale e responsabilità governativa, e riaffermare il ruolo degli Stati nazione nel raggiungere l’equità sociale e la solidarietà globale.
D: Come possiamo valutare la migrazione seguendo criteri di giustizia? Come può un ragionevole regime migratorio contribuire a un ordine mondiale più giusto?
R: In effetti, questa mi sembra la questione più importante, e troppo spesso trascurata. Molti di coloro che vengono da noi vogliono lavorare in Germania per molte buone ragioni, perché non vedono prospettive per loro stessi e le loro famiglie nei loro paesi di origine. Avremmo dovuto creare opportunità di immigrazione legale per queste persone molti anni fa. Il partito della signora Merkel, la CDU, ha bloccato questa opzione. Ora si spera che – su pressione dei socialdemocratici – il governo inizi a lavorare su questo tema. Comunque, ciò deve essere necessariamente combinato con provvedimenti contro il “brain drain” e con compensazioni per i paesi di origine dei migranti. Non è accettabile che un paese ricco risolva la sua carenza di personale specializzato esacerbando la carenza di manodopera specializzata dei paesi d’origine. Soprattutto, 720 milioni di persone in tutto il mondo sono cronicamente malnutrite, e un terzo della popolazione mondiale vive in estrema povertà, molti dei quali nell’Africa Sub-Sahriana. Di questi, comunque, nessuno viene da noi seguendo le rotte organizzate dei trafficanti perché non hanno i mezzi finanziari e le forze per farlo. L’umanità e la solidarietà richiedono di aiutare queste persone. Con solo una piccola frazione del prodotto lordo mondiale, compreso tra lo 0,5 e l’1%, potremmo eliminare la fame e la povertà assoluta più estrema, definita (dalla Banca Mondiale) come un potere d’acquisto di meno di due dollari al giorno. Il continente africano ha bisogno di un’equa cooperazione economica con l’Europa, accesso al mercato agricolo europeo, joint venture, infrastrutture, investimenti esteri, nuove forme di cooperazione allo sviluppo, centri di formazione; non ha bisogno di più emigrazione verso l’Europa.
D: Concretamente quello che dice come si potrebbe declinare?
R: Nel mio libro “Pensare oltre i confini. Un’ etica della migrazione“, pubblicato nel 2017, ho formulato sette postulati sui quali dovrebbe basarsi la politica migratoria.
- Primo: occorre progettare una politica migratoria che contribuisca a un mondo più umano e più giusto.
- Secondo: occorre progettare politiche migratorie all’interno delle società ospitanti, in modo che l’immigrazione sia percepita come un arricchimento e non come una minaccia.
- Terzo: le decisioni sulla politica migratoria devono essere compatibili con il diritto collettivo all’autodeterminazione dei cittadini di quel paese.
- Quarto: la politica migratoria dovrebbe essere disegnata in modo da non aggravare la disuguaglianza sociale nel paese ospitante, cioè che non metta a rischio le strutture di perequazione sociale – come il welfare state – e in modo che possa essere accettata da tutti gli strati sociali. Quando ciò non avviene, la politica migratoria promuove populisti di estrema destra e forze nazionaliste, la cui comparsa può finire per minacciare la democrazia nel suo complesso.
- Quinto: la politica migratoria in generale, ma nello specifico quella focalizzata sulla migrazione economica e lavorativa, deve compensare pienamente gli svantaggi risultanti da un esodo di manodopera che subiscono le regioni di origine.
- Sesto: la migrazione, a confronto di altre misure, secondo tutti i dati disponibili, è in gran parte inefficace e molto spesso controproducente per combattere la miseria del mondo e mitigare la disuguaglianza tra il Nord e il Sud del Mondo, tra regioni economicamente sviluppate ed economicamente meno sviluppate. Ecco perché la capacità della società mondiale di fornire solidarietà non dovrebbe essere legata principalmente alla migrazione transcontinentale, ma dovrebbero essere utilizzata per generosi trasferimenti monetari alle regioni povere e, soprattutto, per costruire un ordine economico mondiale più giusto.
- Infine, settimo: non esigere nulla dalla politica migratoria che tu stesso non accetteresti nella tua cerchia sociale e pratica nella tua cerchia sociale ciò che ti aspetti dalla politica migratoria.
D: Che ruolo gioca in questo contesto il concetto di confine? I confini, da una prospettiva socialdemocratica, sono baluardi contro la globalizzazione o barriere che ostacolano il raggiungimento di un mondo più accettabile dal punto di vista etico?
R: Mi ritengo un cosmopolita repubblicano. Mi preoccupo delle condizioni di fattibilità politica e sociale di un mondo più giusto. Ciò richiede una cooperazione multilaterale, istituzioni politiche globali e una UE vivace che mostri solidarietà, ma ha anche bisogno di Stati nazionali e autorità locali ben funzionanti. I confini sono indispensabili per questo. Confini che assicurano la libertà di ogni individuo sotto forma di diritti individuali tutelati dallo Stato, ma anche confini nazionali, che impediscono la migrazione non regolamentata. Senza confini né gli individui né le nazioni possono funzionare.
Julian Nida-Rümelin, membro del comitato etico della SPD, già ministro della cultura nel primo governo di G. Schröder, è professore di filosofia e teoria politica presso la Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco. Nel 2016 ha pubblicato il libro Über Grenzen denken. Eine Ethik der Migration (Trad. italiana: Pensare oltre i confini. Un’etica della migrazione, appena uscito da Franco Angeli).
Fonte intervista originale: www.ipg-journal.de
Traduzione di Federico Stoppa
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pensiero di sx non esiste più finito con crollo muro di berlino 1989.stalinisti compresi.amen