
Il Volto. Quale tema desueto, forse apparentemente banale, è questo che si sta assemblando sotto il delicato pigiare dei tasti e della ancor più tenue e fragile coscienza umana. Come febbrile e surreale suggestione esso, in ogni dove e momento, suscita uno stupore difficilmente comprensibile: meraviglia e turbamento, ineffabile manifestazione dell’esistenza che racchiude in sé il mistero e la vertigine di ciò che è Altro, diverso, ignoto.
Il Volto è una presenza viva, espressione di un qualcosa che par essere inammissibile e vertiginoso. Esso cedendo spazio all’innamoramento, espressione quasi misterica del pathos, dona forma all’esistenza umana ed assume su di sé i caratteri di presenza immediata (a-priori), sfuggendo dal rapido susseguirsi di sentimenti e affetti. Il Volto dell’altro è lì, per ognuno, oltre ogni contratto e rimodellamento, capace di superare le innumerevoli determinazioni che spesso, il mondo gli imprime cosificandolo.
Come nella clinica, così in tutte le scienze dello spirito e – non di meno – nella plasticità del quotidiano esperire, il Volto è incarnazione di una presenza inattesa che non è svelamento ma rivelazione, capace di abilitare il manifestarsi dell’altro-da-sé oltre la forma che questi assume. Questa parafrasi compiuta a calco sul pensiero di Lévinas suggerisce l’esistenza di una rivendicazione di uno Spazio ed un Tempo da parte dell’altro, un intreccio inestricabile in cui esso è originariamente collocato. Ciò lo si può rendere tangibile con un’immagine: dal momento in cui nella stanza entra un Altro, avviene una ‘perturbazione’ dell’atmosfera fenomenica e gli oggetti appaiono gettati sullo sfondo, rispetto all’individuo che si pone in rilievo nell’esperienza. E come un corpo avente massa nello spazio interstellare – secondo quanto afferma la Teoria della Relatività Generale – è capace di creare un’illusione ottica che induce a far credere che la posizione delle Stelle dietro di esso, per chi osserva dalla Terra, sia spostata di poco quando la loro luce passa in sua prossimità, così l’Altro condensa attorno a sé una sorta di ‘gravità esistenziale’ che curva lo spazio ed il tempo attorno alla sua presenza, modificando permanentemente la percezione di ciò che ha alle sue spalle.
Cosa induce a comprendere questa immagine? Che il Volto è un’epifania che domina l’esperienza, mai trascurabile o relegabile sullo sfondo al pari di qualunque cosa inanimata. Il Volto dell’altro stravolge il piano solipsistico del rapportarsi con le cose del mondo; interroga perché, tramite esso, si vede e si è visti esponendosi al nuovo, al diverso, all’Infinito che viene da ogni dove – perché il Volto è infinità inafferrabile.
Il Volto, oltre ad uno spazio e ad un tempo, rivendica anche un altro aspetto: la Prossimità, che si esplicita nel nostro essere gli uni di fronte agli altri. Questa reciprocità si può intendere come una vocazione esistenziale, una chiamata ad una responsabilità inconfutabile e spaventosa che comporta un rischio, in quanto chiede una partecipazione mai superficiale con l’altro. E come potrebbe mai essere approssimativa ed al contempo autenticamente prossima la presenza di un Io dinanzi al Volto altrui quando quest’ultimo, mutando continuamente la sua forma tramite l’espressività, chiama ad un continuo dialogo e ad un insistente “sentire” la sua condizione esistenziale di uomo-viandante.
Ma cos’è l’espressività? Quel moto perpetuo di forme, solchi, luci ed ombre che si impongono sulla superficie più o meno regolare della pelle che, nuda difronte alla veracità di ciò che la circonda, rivela un piano altro e più profondo del vivere? L’espressività è mascheramento e spogliazione, linguaggio che cattura e irrompe nella quiete. E ancora, silenzio e parola, approssimazione e distanza, potere e vulnerabilità che accomuna Me e Te in bilico su un abisso che di follia risuona e sorveglianza sul proprio cammino, nel palpitare terribile e breve che col passo incerto permette di procedere.
Proprio sul Volto, sulla sua nuda apparizione, si gioca la partita dell’esistenza e nondimeno – necessariamente – della psicologia/psichiatria. Dice Lévinas che “il Volto, e con esso la sua pelle, è quella parte del corpo che maggiormente resta nuda, di una nudità dignitosa” che permette di giungere all’esperienza più immediata e primitiva con il Tu. Primitiva perché è precedente ad ogni parola, ad ogni gesto, antecedente di ogni categoria: il Tu può restare in silenzio, immobile e restare Tu, domanda, spaesamento. Il Tu resta Volto.
Buber sulla scia di Minkowski direbbe che il Volto che si incarna nel Tu non è solo un Esserci immediato, un “qui-e-ora”, ma anche un “da-dove” e un “verso-dove” a cui l’Io deve orientarsi se vuole che il Volto diventi una presenza spazio-temporale e prossimale fortissima. Fortissima ed al contempo velata perché il Tu è un luogo sconosciuto e unico in cui, come afferma Elizabeth Barrett Browing, posso esistere.
Come non ricordare poi Bruno Callieri che tra la pagine della sua esistenza e delle sue opere non smette mai di ricordare come il Volto dell’altro ci chiede sempre un azzardo, una scommessa, la partita di chi assume su di sé il massimo rischio dell’accostamento carne a carne, approssimazione alla persona che si ha dinanzi. Nudità a nudità, sguardo a sguardo, confronto in cui del Volto non si riconosce più la similarità con se stessi, ma l’essere rivolto – come te, come me – al morire, navigando a vista tra le pieghe opache dell’esistenza.
Come poter sospendere un discorso, quasi un dialogo, sul Volto? Come poter concludere questo viaggio teso al rinvenimento di questa esperienza basa in cui siamo immersi e verso cui tutti siamo chiamati irrimediabilmente?… E poi, mescolando ingredienti universali, atomi e molecole come un nuovo Big Bang, Junger ci scaglia sull’orlo del delirio, di una perplessità psicotica (Wahnstimmung) che è esperienza radicale che ogni incontro autentico con il Volto ha in sé. Scrive Junger: “Sapeva bene che il naufragio era già avvenuto e che, adesso, si navigava su una zattera di rottami legati assieme… Una volta che quelle corde avessero ceduto, sarebbe rimasto solo l’abisso insondabile degli elementi – e chi avrebbe potuto affrontarlo?”.
Una sospensione, quasi un’attesa che si estende verso i confini del reciproco riconoscimento e poi, senza posa, superando questi limiti diretti verso il non più noto: questa è la meraviglia oscura che lascia emergere il Volto. Là dove cade ogni mezzo e ogni certezza cessa di imporsi tra l’Io ed il Tu, ecco si dischiude la possibilità degli “abissi”, del naufragio, di una dimensione fascinosa e terrifica posta tra estremi mai definitivi di salvezza e devastazione. Proprio lì si inizia a intravedere, tra le rovine dell’esistenza, il Volto dell’altro.
Stefano Marini
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Riferimenti
Ales Bello A., Ballerini A., Borgna E., Calvi L.: Io e Tu. Fenomenologia dell’incontro. Roma. 2008.
Lévinas E., Riva F.: L’Epifania del Volto. Milano. 2010.
Buber M.: Il cammino dell’uomo. Torino. 2004.