Da sempre gli esseri umani hanno cercato di uscire da una condizione di passività ed impotenza aumentando il loro controllo sulla realtà. Si può affermare che gli uomini cerchino di rovesciare la loro debolezza trasformandola in potenza sulla natura e sull’altro. Fin dall’antichità molti popoli hanno utilizzato la loro forza e il loro potere per imporsi su altri. Possiamo guardare tutte le grandi opere architettoniche ed ingegneristiche come la prova tangibile e il simbolo di questa constatazione. Come specie abbiamo costruito piramidi, grattacieli, navi gigantesche e armi con immense capacità distruttive. Proprio in questi giorni si sta diffondendo la notizia di un progetto statunitense che prevede di colonizzare Marte a partire dall’anno 2025…
Aumentare il potere sulla realtà è una strategia che viene messa in atto anche dal singolo individuo, oltre che dalla collettività in generale. Nel saggio “Al di la del principio del piacere”, Freud descrive il gioco del suo nipotino Ernst di diciotto mesi, che dalla sponda del suo lettino si intrattiene lanciando un rocchetto e tenendo stretto in mano il filo a cui è legato. Il piccolo, mentre lancia il rocchetto, emette un suono che corrisponde alla parola tedesca “fort” (via), e quando lo ritira a sé pronuncia la parola “da”(qui). Freud intrepreta questo gioco come il tentativo del bambino di rappresentare simbolicamente e controllare l’esperienza spiacevole della mamma che si allontana da lui per poi tornare. Infatti nel gioco è il piccolo Ernst a lanciare il rocchetto e successivamente a riportarlo a sé. L’esperienza vissuta è quella di poter affrontare la situazione spiacevole della separazione senza esserne in balia, e più in generale di avere una forma di potere sulla realtà. In sostanza per Freud il bambino passerebbe “dalla passività dell’esperire all’attività del giocare”.
Ecco quindi che diventare soggetti attivi è un’ottima soluzione per uscire da uno stato di difficoltà e di minorità. Questo è anche il modo più efficace di superare un trauma e può capitare che una persona possa eccellere in un ambito in cui precedentemente si è trovato a disagio. Tutti noi utilizziamo efficacemente strategie che rispondono alla modalità appena descritta. Succede quando reagiamo alle difficoltà e ci mettiamo a lavorare per raggiungere un risultato, oppure quando usciamo da una situazione di sopruso e facciamo sentire i nostri diritti. Alla fine ci sentiamo capaci e sicuri di noi stessi. Tuttavia questa strategia può diventare dannosa, nel momento in cui viene applicata in maniera coatta a qualsiasi situazione che ci metta di fronte a sentimenti spiacevoli. Quando questo accade la persona non riesce più ad entrare in contatto con la debolezza, la paura, e la tristezza proprie ed altrui. In modo automatico e compulsivo ogni sofferenza, prima ancora di essere percepita come tale, viene soffocata da un atteggiamento attivo e sfrontato. Si tratta di una caratteristica molto diffusa nella realtà contemporanea caratterizzata da un dimensione narcisistica e ipomaniacale. È come se si volesse espellere la dimensione della debolezza dal dominio dell’umanità. In questi casi il dolore e l’impotenza non sono più tollerate in noi e negli altri, e ogni esperienza di perdita deve essere schiacciata dalla forza.
Invece nella vita si tratta di imparare lentamente a sviluppare la capacità di tollerare situazioni di impotenza, che non sempre possono essere rovesciate nel breve termine. Questo ci permette di aprirci ai nostri sentimenti di paura, tristezza, solitudine, e ci consente di entrare in contatto con i medesimi sentimenti che si dischiudono nell’incontro con l’altro. È in questo momento che finalmente riusciamo a cogliere l’umanità in maniera più completa, nella sua dimensione di impotenza e necessità, e non solo in quella di potenza (che non cessa di esistere). Così facendo ci possiamo avvicinare all’altro e a noi stessi con uno sguardo di pietas, nell’antica accezione del termine di compassione e accettazione. Ciò produce un atteggiamento di benevolenza verso noi stessi, verso i nostri limiti, verso le nostre debolezze, e verso le mancanze del prossimo. È uno sguardo che rincuora. Al contrario, nel caso in cui siamo obbligati ad un uso compulsivo della forza, tutti i difetti suscitano in noi solamente pietà, nell’accezione corrente del termine che mette in risalto il disprezzo e l’indecenza. Il primo tipo di sguardo, quello della pietas, possiede paradossalmente una forza liberatoria rispetto ad una retorica dominante che ci esorta in maniera conformistica e fobica ad oltrepassare i nostri limiti. La vera forza sa accogliere la debolezza, non la teme.
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Riferimenti
Al di là del principio del piacere (1920), Sigmund Freud
IL VENTO CONTRO
di Fausto Corsetti
Tempo fa, scorrendo i canali della televisione, sono stato attratto dalle immagini di alcune gare sportive. Si trattava, in particolare, del lancio del giavellotto.
Assistere alla gara del giavellotto è come tornare agli albori dello sport, assaporare l’aria di antiche competizioni. Proprio nell’antichità, lo sport derivava dall’allenamento per la battaglia, dalla preparazione per i combattimenti.
Le gare odierne non sono lotte contro un nemico, ma sono invece, più spesso, sfide ai propri limiti, battaglie con se stessi per superare i propri personali traguardi. Ognuno cerca di fare sempre meglio della volta precedente, di oltrepassare se stesso, prima ancora di superare l’altro.
In questa pratica sportiva, come in tutte le altre gare di lancio, ad esempio quella del peso o del disco, la sfida ai propri limiti è evidenziata dalla solitudine spaziale della pedana di gara: l’atleta è lì solo con se stesso, con il suo attrezzo e, di fronte, l’ampio spazio della competizione.
Quello che mi ha sorpreso, osservando il lancio del giavellotto, è la dinamica della prestazione.
Mi sarei aspettato che il tiro sia tanto più facile e lontano quanto più il vento è favorevole, come se il vento potesse trasportare più in là l’attrezzo lanciato.
Dai commentatori, invece, ho ascoltato esattamente il contrario: il vento favorevole non giova alla prestazione del lancio del giavellotto. Un buon lancio è facilitato, invece, dal vento contrario, perché solo l’opposizione dell’aria permette al giavellotto di rimanere sospeso più a lungo, di veleggiare e così di arrivare più in là.
L’abilità non sta nel lanciare semplicemente “oltre” ma nell’avvertire la corrente d’aria giusta, in opposizione, che mantenga più a lungo possibile in alto il volo del giavellotto.
Questa stranezza mi ha profondamente colpito. Noi siamo abituati a pensare al vento sfavorevole come ad un’avversità da combattere, come ad una sventura: nel lancio del giavellotto, al contrario, esso diventa un’ottima occasione per andare più avanti. L’avversità diventa un’opportunità da sfruttare più che una maledizione da sopportare.
Penso che ci sia da riflettere, penso che ci sia un valido suggerimento per la nostra vita in questa curiosità del lancio del giavellotto.
Nello scorrere della nostra esistenza non sono certamente assenti periodi faticosi e duri in cui le cose non sembrano “veleggiare” per il meglio, in cui sembra che il vento della vita ci sia decisamente contrario. In questi momenti o ci mettiamo a lottare contro queste difficoltà, spesso accumulando rabbie, rancori e risentimenti, o le trasformiamo in occasioni di crescita e di pausa, in cui fermarci per riflettere e riprendere le redini della nostra esistenza, per ritornare a ciò che è essenziale.
Per essere più chiaro: non sempre una malattia, una disgrazia, una difficoltà, un’incomprensione è solamente e totalmente negativa.
Se riesco a vedere oltre e a cogliere in essa una nuova opportunità di crescita è come se scagliassi il mio personale giavellotto sfruttando il vento contrario per farmi sostenere da esso. Le contrarietà della vita si possono trasformare in occasioni nuove per trovare strade diverse o soluzioni insperate.
Nei nostri momenti difficili ricordiamoci del lancio del giavellotto e sapremo trasformare dentro di noi il lamento in una danza; sapremo trasformare tutto: tutto vuol dire proprio tutto, anche ciò che bene non è, anche il vento contrario nel cammino della vita.
Ho letto con piacere la sua preziosa riflessione. Sì, il lancio del giavellotto controvento (non conoscevo questa dinamica) è davvero una potente metafora di ciò che succede durante l’esistenza. Quando la vita ci resiste allora abbiamo l’opportunità di conoscere nuovi aspetti di noi, di cambiare davvero, di trovare delle risorse inattese, di scoprire l’alterità che ci abita: in poche parole di migliorare e crescere. A patto di rimanere nella posizione di chi è disposto ad apprendere, e di non vivere le difficoltà come uno sfregio personale. A patto cioè di non indurirci, di non chiuderci davanti alla vita, di rimanere aperti, recettivi e attenti. Non sempre è facile, non è sempre possibile, e il più delle volte si tratta di un punto di arrivo che necessita tempo e lavoro.