
La nostra è una generazione che per certi aspetti si trova ad affrontare problemi del tutto inediti. I modelli del passato spesso risultano inadeguati e devono lasciare spazio a soluzioni sperimentali. È auspicabile che si dia inizio ad una riflessione collettiva sulla nostra condizione comune, sulla nostra identità e sul significato che vogliamo dare alle nostre vite. Iniziare a pensarsi come una generazione accomunata da esperienze condivise è utile per poter riflettere sulle traiettorie personali di ognuno di noi. Noi giovani dobbiamo iniziare a proporre una nostra visione, sganciandoci dalle rappresentazioni di “bamboccioni” che arrivano da un’altra generazione. Non si tratta di creare una sterile contrapposizione, ma di alimentare una dialettica costruttiva al fine di conquistare un’identità propria.
Filippo Gibiino
A tutti coloro schiacciati sul presente, perché il futuro è un frastuono d’incertezze; a tutti quelli che si barcamenano tra due o più lavori pur di pagarsi un affitto, e conquistarsi così un barlume d’indipendenza; a tutti quei ragazzi italiani emigrati all’estero, che continuano ad elogiare il proprio paese nonostante li abbia cacciati fuori a pedate per mancanza d’opportunità; a tutti quei ragazzi italiani che affrontano le mille difficoltà in patria, e che cercano comunque d’inventarsi qualcosa: a tutti quelli che progettano geniali idee imprenditoriali; a tutti coloro che si muovono in associazioni per risollevare il sociale – un sociale tramortito e inesistente; a tutti quelli che, pur avendo sempre lavorato, non hanno mai visto in vita loro una busta paga; a tutti quelli impegnati nei mille tirocini schiavizzanti, perché, arrivati a una certa, la gavetta è solo una bruta invenzione creata ad hoc; a tutti coloro che studiano ogni giorno, per sé e per gli altri; a tutti i pendolari che si svegliano presto la mattina e tornano a casa stremati la sera; a tutti coloro che svolgono attività invisibili e “fast food”: lavapiatti, camerieri, commessi-col-cappellino-orribile-di-ogni-genere; a tutti quelli che vivono una vita semplice in virtù della complessità che li circonda; a tutti quelli che vivono appartenenze multiple cercando di capire come si fa; a tutti quelli che vengono lasciati soli, ai bordi delle strade, in preda ad una emorragia pubblica, perché non c’è più una visione comune, un senso collettivo che sappia indicargli una via.

A tutti quelli che non ho nominato, e a tutta quanta la mia generazione, nessuno escluso, perché questa è una generazione con le palle, e voglio dirle grazie, per tutto quello che fa, ogni giorno. Un grazie sconfinato, perché di grazie così ne riceve sempre pochi…
Un sorriso d’intesa a tutti coloro che – ne sono certo – mi capiranno, in questa nostra comune e dilatata nomade condizione; perché se è vero che questo cambiamento epocale ce lo portiamo pesantemente caricato sulle nostre spalle, è anche vero che di tutto questo nessuno ne parla mai: poco spesso siamo nominati e riconosciuti, e proprio per questo pian piano dimenticati, soprattutto da quelli che sono solo bravi a giudicare, o a tacere, e che solo per uno scherzo del destino hanno contribuito consapevolmente a buttarci nella mischia, colpevoli e ignari di quel danno che, così maledettamente egoista, ci avrebbero lasciato in eredità.
Francesco Paolo Cazzorla ( Zu Fra )
Editing grafico a cura di Edna Arauz
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La nostra generazione non ha vissuto la Guerra, speriamo non la debba vivere, ma vive piccole continue battaglie. La lotta contro la disoccupazione, contro l’inoccupazione e contro un pessimismo radicato nelle speranze: la disillusione. Adesso l’unica verità è che, seppur piova ogni pomeriggio e il tempo cambi nel giro di cinque minuti, aspettandocelo, possiamo voler uscire lo stesso, o forse dobbiamo, con o senza l’ombrello. Così il grazie sconfinato potremo rivolgerlo alla pioggia per questa grande lezione di vita.
Grazie per il tuo commento Marcella. Sicuramente è attraverso il rapporto con la realtà, con i limiti che si cresce, e la nostra generazione ha avuto la sua dose di pioggia e di esperienza. Ora, quello che ci auspichiamo, è che questa esperienza venga valorizzata e messa a frutto per la collettività e il paese. Per questo pensiamo sarebbe utile costruire una consapevolezza collettiva, ragionando su quale possa essere l’identità e il contributo specifico di questa generazione al di là degli stereotipi negativi. Il rischio più grosso è disperdere il sacrificio, come se la pioggia fosse caduta per niente. In questo non c’è nessuna pretesa di vedersi migliori o peggiori rispetto alle generazioni del passato, ma la voglia di costruire consapevolmente la propria identità. Si tratta di dare significato alle esperienze, e il senso sta sempre tra il mondo e le persone. Ed è ancora tutto da scrivere…