La Stella e la Strada. Piccolo tributo a Francesco De Gregori

degregori

“Non è necessario offrirsi agli altri: solo a coloro che si amano. Andare fino in fondo significa saper serbare il proprio segreto”. Ascolto l’ultimo disco di Francesco De Gregori, Vivavoce, e mi viene in mente questa frase di Albert Camus. Le canzoni di De Gregori non ti spiegano niente; piuttosto alludono, lasciano immaginare. Somigliano a un grande affresco, in cui ciascuno può cogliere un particolare diverso, tracciare un suo itinerario interpretativo, costruire una sua storia. Solo se si arriva in fondo alla sua discografia, mettendo assieme pazientemente i tasselli del mosaico musicale, il senso diventa via via più chiaro. Risaltano alcune figure principali.

Ci sono i centomila volti dell’Amore. Quello descritto in Cardiologia. “Che si gioca per vincere/ e non per partecipare/ che è ferito e non cade/ ma continua ad andare/ a sbattersi nel buio/ e a farsi vedere/ a sanguinare di nascosto/ e a pagare da bere/ a goccia a goccia”. L’amore sepolto nei fondali della mente e del cuore, che qualche volta riaffiora  (Atlantide, la dylaniana Non dirle che non è così).  L’amore benedetto, che è acqua nel deserto (“Deriva”) e lampada nella sera (“Bellamore”). L’amore prepotente ed effimero di “Dammi da mangiare” (Ci sono amori disordinati/ nei tuoi passati e nei miei passati/ e Notti come questa/ passate a rubare), quello che brucia in una notte (“Compagni di viaggio”, “Baci da Pompei”). L’amore che può essere riparo dalla tempesta (L’amore comunque) o maledizione (Ciao Ciao/ andarsene è un peccato però Ciao Ciao/ Bella donna alla porta che mi saluti /e baci abbracci e sputi/ e io che sputo amore..Ciao Ciao/ Bella ragazza che non m’hai capito mai). L’amore che si nasconde e si confonde, ma non si perde (Un guanto) e quello illogico di “Pezzi di vetro”(e non hai capito ancora come mai/ ma hai lasciato in un minuto tutto quel che hai); quello che insegna ma non si fa imparare di “Caldo e scuro”.

Candles_1C’è la coerenza verso sé stessi e i propri ideali. La convinzione che – nonostante pioggia e sole cambino spesso faccia alle persone – “se mi cercherai, sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai” (Sempre e per sempre). La stessa coerenza che è poi incompatibilità radicale con gli atteggiamenti opportunistici di alcune persone di successo, anche ex amici “che hanno perduto l’anima e le ali” (Pentathlon, Vecchi Amici). Una coerenza che però non sfocia mai nel moralismo e nel cinismo, ma che prevede la pietas verso gli avversari sconfitti (il Cuoco di Salò).  Ancora Camus: “Bisogna incontrare l’amore prima di aver incontrato la morale. Altrimenti, lo strazio”.

C’è l’Italia. Paese, oggi, “di pecore e pescecani/ di figli di donne di strada; di uomini tutti d’un pezzo/che tutti hanno un prezzo e niente c’ha valore; di dolcezza chiusa a chiave nei buchi neri delle città”. Eppure Paese con il maggior numero di persone che si dedicano al volontariato (cfr. Emmott, Good Italy, Bad Italy, 2012); persone che sanno stupirti,  rimanendo unite, con gli occhi asciutti nelle tante notti tristi della nostra Storia (Viva l’Italia). Eppoi la gente/ quando si tratta di scegliere e di andare/ te li ritrovi sempre con gli occhi aperti che sanno benissimo cosa fare/ quelli che hanno letto un milione di libri, insieme a quelli che sanno soltanto parlare/ ed è per questo che la Storia dà i brividi. (da “La Storia”).

C’è il Vangelo. La Donna Cannone, autentica imago Christi (voleremo in cielo in carne e ossa/non torneremo più), come il personaggio della Cattiva Strada (Senza dir niente lo seguì/ per la sua cattiva strada). Nell’”Agnello di Dio”, Cristo si confonde tra prostitute, ladri, spacciatori, militari; sempre scandaloso, senza posto dove stare, sempre in esilio, “condannato a morte per la vita” , ma “finché non troverà il suo posto al sole/ tutto questo mondo sarà prigione”.

C’è l’Apocalisse (nel senso biblico di Rivelazione) di “Futuro”, riuscita cover di Leonard Cohen, e quella di “l’aggettivo mitico”, spietata rassegna di una contemporaneità in cui la comunicazione, perduto qualsiasi ancoraggio ai contenuti, è arte della manipolazione e della menzogna, è “ l’ultimo rifugio dei vigliacchi”; in cui la guerra sanguinaria dei predatori si contrappone a quella serena degli aviatori; in cui l’economia reale non tiene il passo di quella virtuale (si abbassano le vetrine/ ma i prezzi continuano a scintillare). jack-kerouac-on-the-road-shellorz_h_partb

Sono tante le preghiere del cantautore romano. Dedicate a chi riesce a ritrovare la leggerezza dei gigli dei campi, l’allegria degli uccelli del cielo (a Pà); a chi dal fondo della miniera della tristezza trova ancora una voce per cantare (la ragazza e la miniera), anche se in modo improvvisato e stonato (il violino dei poveri è un ragazzino che al secondo piano piange ride e stona/ perché vada lontano/ fa’ che gli sia dolce anche la pioggia nelle scarpe/ anche la solitudine, in” Santa Lucia”)..

Il fil rouge della poetica di De Gregori- in continuità con i suoi amati Céline, Melville, McCarthy, Kerouac e Conrad – è però il Viaggio, la Strada. Dove si mescolano marinai, emigranti di oggi (Natale di seconda mano, Raggio di Sole) e di ieri (l’abbigliamento di un fuochista, Titanic, La ragazza e la miniera), straccioni, piloti d’aereo, ragazze appena maggiorenni (Ragazza del ’95), uomini semplicemente senza collari e padroni, armati solo della loro bussola interiore, pronti a rischiare la notte, il vino, la malinconia, la solitudine, pur di (in)seguire fino in fondo la loro Stella, la loro Follia, il loro Amore.“Che viaggiare non è solamente partire/partire e tornare/ma è imparare le lingue degli altri/imparare ad amare”..

Federico Stoppa

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Un pensiero su “La Stella e la Strada. Piccolo tributo a Francesco De Gregori

  1. IL VIAGGIO

    di Fausto Corsetti

    Appartiene a ciascuno di noi, inizia dalla nascita: il viaggio. Ognuno di noi viaggia, ogni giorno, ora, minuto; cresce, apprende nuove cose e ne perde altre. I percorsi di noi persone comuni non saranno scritti nelle letterature o nei libri di storia, ma ognuno di noi intraprende una strada di vita che a sua volta si intreccia con quella di molti altri. Spesso il significato del viaggio è soprattutto nella sua direzione e la sua meta può materializzarsi in modo imprevedibile e talvolta può addirittura sfuggire, può essere perennemente e vanamente inseguita.
    La vita germoglia proprio dentro ciascuna delle cose che abitano il tempo e lo spazio; è mimetizzata dietro al volto di quanti incrociano i nostri passi, si alimenta dei sentimenti, delle illusioni, delle passioni, delle sconfitte che affollano il cuore di quanti osano mettersi in cammino.
    Sovente ci accade di vivere e di non accorgersene, di aspettare e di non riuscire a riconoscere, di intraprendere e di restare, comunque, insoddisfatti.
    Il sentiero della vita non è tracciabile, non è mai riconoscibile prima di essere percorso. E’ simile al volo di un gabbiano nel cielo, alla rotta di una barca sul mare: la traccia c’è, è riconoscibile, ma soltanto dopo, anzi proprio mentre si realizza.
    Ricorda l’amore. Rimane misterioso il suo percorso, si realizza esattamente nel momento in cui si offre. Il cammino di un uomo e di una donna resta indefinibile, misterioso, eppure è avvolgente, appagante perché impastato di desiderio e di memoria, di passione e di nostalgia, di fisicità e di evanescenza, di provvisorietà e di eterno, di riconoscimento e di meraviglia.
    E non c’è viaggio migliore di quello in cui si impara a lasciar scivolare dentro, nell’intimità, voci, luci, luoghi, sentimenti, timori, silenzi e spazi… consapevoli, alla fine, che nessun viaggio è definitivo.
    La gioia o la delusione non vengono da fuori: affiorano dal proprio profondo.
    Ciò che sazia è il desiderio. Ciò che soddisfa è l’inedito. Ciò che assicura pienezza e gioia è la capacità di cercare e di stupirsi per tutto ciò che c’è di nuovo nella vita e nei volti di coloro che la affollano.
    Passare di luogo in luogo, di viaggio in viaggio, di passione in passione, di cuore in cuore, non è difficile, ma la scommessa, la sfida è un’altra: cercare, riconoscere, accogliere, far durare ciò che provvisorio non è, e che indossa tanto, tanto spesso le vesti della fragilità e del non evidente.
    Il percorso, il cammino non è già tracciato e nessun viaggio è definitivo: anzi, il miglior viaggio è, incredibilmente, quello incompiuto.
    Basta saper ricominciare.

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