La città glocale

Tsatsralt Erdenebileg - Ulaanbaatar city
Tsatsralt Erdenebileg – Ulaanbaatar city

I mutamenti storici che stiamo vivendo, attraverso la loro carica innovativa, tendono a manifestarsi più che altrove – e con una modalità al contempo più incisiva ed esplicita – all’interno dei centri urbani che abitiamo o attraversiamo a vario titolo. La portata di tale affermazione, nell’ottica di una società complessa, consiste nel riconoscere le città come dei nuovi punti di “condensazione”, in cui vanno a  confluire i flussi e le dinamiche che si manifestano a livello planetario. Proprio per questo motivo, tali punti andranno a configurarsi sempre più come i nodi della cosiddetta “rete globale”. In merito a ciò, occorre sottolineare come i processi di globalizzazione non riguardino solamente le trasformazioni che stanno investendo i rapporti tra economia e politica, né tantomeno possano identificarsi principalmente, e nello specifico, come dei fenomeni innovativi dal punto di vista economico o culturale. Quello che si sta manifestando ulteriormente, e che vede come protagoniste indiscusse le città, prevede una ri-organizzazione spaziale della vita sociale, che si esplica nella tensione incessante della dialettica tra globale e locale.

Ecco che allora la globalizzazione, oltre ad estendere le tipologie e la quantità di relazioni possibili, modifica altresì il modo in cui esse vengono vissute e agite all’interno dei contesti urbani. Per realizzare ciò viene operato un doppio processo (Magatti, 2007): da un lato una despazializzazione, che mette in crisi i precedenti assetti riguardanti gli spazi sociali – con riferimento particolare agli stati nazionali; dall’altro una rispazializzazione, riguardante la creazione di nuove geografie, che permette una ridefinizione strutturale dell’organizzazione della vita sociale nelle città. Per questo motivo «le città contemporanee sono il palcoscenico o il campo di battaglia su cui i poteri globali e significati e identità ostinatamente locali, si scontrano, lottano e cercano un accordo soddisfacente, o appena sopportabile, una modalità di coabitazione che si spera sia una pace duratura ma che di norma si rileva soltanto un armistizio» (Bauman, 2007: 92-93).

Queste tensioni, dunque, prevedono un incontro-scontro tra le logiche macrosistemiche e la vita concreta dei singoli e dei gruppi. La logica dei flussi – con tutto ciò che essa comporta, in termini di mobilità generata da interessi, spostamenti delle popolazioni e tecnologie – viene ricontestualizzata e ricondotta alle esperienze e alle relazioni della logica dei luoghi, i frames principali della memoria e delle sedentarietà. Quest’ultimi, infatti, detengono una certa importanza per la vita sociale di ciascun individuo, in quanto i processi identitari sono strutturati dalle specifiche rappresentazioni simboliche di un territorio, che la comunità riceve ed insieme costruisce.

Da tale dialettica, però, consegue una riorganizzazione spaziale del mondo sociale che si presenta dai tratti inediti: la città non aspira più ad essere il “luogo del vissuto”, in cui viene sedimentata l’esperienza comune ma, al contrario, diviene il “luogo del vivente” in cui il luogo stesso assume un valore prettamente strumentale, prefigurandosi, dunque, come un sistema di disparate opportunità per l’azione e la realizzazione individuale. Pertanto, i diversi luoghi che compongono la città assumono significati diversificati e, acquisendo funzioni sempre più specializzate, esprimono un codice tecnico specifico che consente loro di collegarsi con altri luoghi simili sparsi in tutto il mondo.

Tutto ciò comporta uno scollamento del tessuto sociale che, invece di tenere insieme queste diverse funzioni, riduce drasticamente il valore integrativo del luogo, permettendo al contempo il dileguarsi di una socialità che si rende sempre meno diffusa e spontanea. In definitiva, la differenziazione marcata di funzioni, all’interno della città, prevede la convivenza forzata di mondi diversi e disuguali che, non avendo alcun interesse ad incrociarsi, rischiano di rilevarsi una pericolosa alchimia sociale. La città in questo modo diventa «un agglomerato di funzioni e di popolazioni diverse, che rischiano di non sapere più esattamente da che cosa sono tenute insieme» (Magatti, 2007: 27). A fronte di queste trasformazioni, e delle esigenze di mediazione tra tensioni globali e locali, la città diviene – nel suo complesso – una nuova questione sociale, poiché «è l’oggetto forse più utile mediante il quale leggere la trasformazione contemporanea» (Magatti, 2007: 19).

d3sign – yiu yu hoi
d3sign – yiu yu hoi

Considerati questi nuovi sviluppi che, come visto, concernono le dinamiche di riorganizzazione spaziale delle città sotto le spinte globali, si approfondirà ora la questione di come quest’ultime assumano delle funzioni proprie in merito all’acquisizione di una presunta capacità politica. Le tensioni tra globale e locale, prima discusse, necessitano un ripensamento della loro gestione, in termini di nuove letture e governabilità da parte delle città stesse. Per questo motivo, nell’ambito di una differenziazione di competenze, bisogna distinguere, secondo Sebastiani, tra politiche della città e politica delle città.

Le prime possono essere ricondotte in maniera generale alle politiche urbane e fanno riferimento alle tante possibili categorie delle politiche pubbliche. In questo senso, bisogna prendere in considerazione l’insieme delle azioni che un governo centrale mette in atto per rispondere a problemi specifici della città. Quindi, quando si parla di politiche della città, il soggetto politico – che mette in opera gli interventi – si riconosce solitamente nello Stato e, poiché le azioni che esso emana avranno come oggetto la città (in generale), di conseguenza quest’ultima non assumerà nessuna qualifica politica. Quando si parla invece di politica delle città (al plurale), si vuole rimarcare come una pluralità di soggetti – che vengono identificati per l’appunto nelle città – acquisiscano un potere politico, che viene esercitato in maniera autonoma e diversificata. Quindi, gli interventi emanati da parte delle singole città faranno capo ad un soggetto politico che non viene più considerato solamente – e in un’ottica periferica – come oggetto di intervento pubblico, ma che – in ordine della sua nuova qualifica – detiene un potere politico esercitato autonomamente.

Questo cambiamento di prospettiva, che vede la rinascita politica delle città, si rifà ad un mutamento semantico dello spazio locale. Mentre per le politiche della città il locale assume un valore minore e secondario – poiché subordinato ad un centro – al contrario per la politica delle città il locale è uno spazio qualitativamente diverso, contraddistinto da forme proprie e originali di azione. Nella prima caratterizzazione vi è, dunque, una definizione gerarchica dei rapporti tra un centro – che rappresenta un vertice – rispetto alle diverse località formalmente subordinate ad esso. Nella seconda, invece, tenendo conto dei processi di indebolimento dello Stato-nazione, le singole città si inscrivono in una relazione orizzontale con la rete globale. Poiché quest’ultima dimensione non detiene una propria centralità in nessun vertice predefinito, le città possono assumere – e quindi acquisire – una posizione maggiormente vantaggiosa. In definitiva «una molteplicità di luoghi – le città – possono aspirare ad affermare una propria centralità in un sistema che si configura come policentrico» (Sebastiani, 2007: 22).

Tuttavia, affinché si strutturi un ambiente reticolare di tal genere, è necessario che le città – i nodi della rete – non rivestano solo il ruolo di ricettori, ma anche quello di generatori di impulsi. Per questo motivo, sono costrette da un lato ad accogliere ed aprirsi sempre più a persone, beni, servizi e capitali, dall’altro devono poter attivare quelle capacità che consentono loro di collegarsi al reticolo globale, cercando così di attirare a sé una certa attenzione, di richiamare visitatori e vendere le proprie produzioni. In questo modo, le città spostano «il proprio baricentro da quello che accade al loro interno verso ciò che le attraversa, le collega, le trasforma» (Magatti, 2007: 23). Il disporre di certe autonomie e di determinate capacità politiche non deriva necessariamente da riconoscimenti giuridici specifici (come per esempio quelli accordati alle regioni), ma bensì dalla loro capacità di gestire particolari mix, che si generano dall’incontro tra le istanze storico-culturali, appartenenti alle città stesse, e i processi più generali di innovazione, che riguardano la globalizzazione economica, sociale e culturale.

In merito all’acquisizione di determinate competenze – esercitate dalle singole città in completa autonomia – se ne possono individuare alcune che, a fronte di un marcato scollamento del tessuto sociale, hanno l’obiettivo di ripensare il modo in cui la città viene vissuta dai cittadini, puntando – tramite l’apporto integrato di un complesso di azioni – alla qualità della vita urbana. Tali azioni, tradizionalmente rientranti nelle competenze tipiche di una città, assumono oggi una nuova valenza nell’ambito di un ri-equilibrio tra politiche competitive rivolte all’esterno e politiche solidaristiche rivolte all’interno, quindi rispettivamente tra politiche per la città e politiche per i cittadini. La progettazione di interventi in tal senso – sfruttando la tendenza ad operare per piani integrati – ha risentito in primis dell’influenza europea, che promuove l’applicazione di progetti intersettoriali, tenendo conto non solo del territorio in sé – e delle sue rispettive funzioni – ma anche delle relazioni sociali che formano il tessuto urbano.

Questa convergenza applicativa, va principalmente nella direzione di un potenziale superamento – e risoluzione – di determinate problematiche che si rendono manifeste nei cosiddetti quartieri sensibili. Con tale denominazione, per Magatti, bisogna intendere tutte quelle zone della città, sia periferiche che centrali, investite – e interessate – da uno fra questi due processi speculari: il primo prevede una marcata funzionalizzazione di intere porzioni di territorio che, ricomponendo per l’appunto funzioni e popolazioni diverse, attivano interconnessioni funzionali con l’altrove; il secondo riguarda le dinamiche di impoverimento che hanno per oggetto altri e determinati territori, svuotati da funzioni e popolazioni legate alla fase storica precedente. Nel complesso «le vecchie periferie in trasformazione e le nuove zone dove più intenso è il fenomeno della dislocazione definiscono quelli che possiamo chiamare “quartieri” o “aree sensibili” che si caratterizzano […] per la presenza simultanea, anche se variabile, di una molteplicità di fattori di debolezza» (Magatti, 2007: 33) dal punto di vista abitativo, sociale, culturale e infrastrutturale.

In definitiva, entrambi questi processi provocano lo sradicamento del tessuto sociale di un luogo comportando, viceversa, un’accentuata mobilità di persone diverse che determina modi differenziati di intendere e di usufruire un certo spazio pubblico, provocando, in ultimo, importanti trasformazioni sulla vita sociale che, molto frequentemente, vanno ad intaccare la qualità urbana.

Traendo spunto da questo quadro, e per assicurare una certa qualità della vita urbana, secondo Sebastiani, bisogna tener conto che quest’ultima è influenzata sia da dalla posizione della singola città in relazione ad altre città – perché produce vantaggi competitivi – sia dalla condizione di coloro che la abitano – perché produce coesione sociale. Si può pensare, dunque, che un piano integrato di intervento consenta di conciliare politiche competitive e politiche solidaristiche. Molto spesso, però, nella realtà ciò non accade. Questo perché, al contrario, tende a manifestarsi una divaricazione delle logiche dominanti che riflettono la complessità del sistema urbano, portatore di per sé della frammentazione degli interessi da cui deriva. In definitiva, alla luce di quanto detto, sorge la necessità di concepire la qualità della vita urbana come un prodotto complessivo di tante azioni che si influenzano reciprocamente, tenendo bene a mente che la città, in quanto «spazio politico» (Sebastiani, 2007: 36), manifesta specifiche problematiche del conflitto, riguardanti sia la diversità degli interessi di parte, che la divergenza semantica delle concezioni sul bene comune.

Francesco Paolo Cazzorla ( Zu Fra )

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Bibliografia di riferimento

Bauman Z., 2007, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Bari, Laterza.

Callari Galli M.,2007, (a cura di), Mappe urbane. Per un’etnografia della città, Rimini, Guaraldi.

Magatti M. (a cura di), 2007, La città abbandonata. Dove sono e come cambiano le periferie italiane, Bologna, Il Mulino.

Sebastiani C., 2007, La politica delle città, Bologna, Il Mulino.

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Un pensiero su “La città glocale

  1. CORTESIA METROPOLITANA

    di Fausto Corsetti

    Luogo: Stazione Termini di Roma; il tempo: mattina ore 7:45, orario di arrivi frenetici. Un flusso continuo di persone si avvia verso i luoghi di lavoro o di studio.
    Vedo un uomo fermarsi, tirare su da terra una bicicletta incatenata a un pilone e caduta probabilmente per una spinta. Riaccostatala con attenzione al palo, quel signore riprende la sua strada. Tutto qua. Nessun gesto eroico, nessuna frase altisonante, il destino del mondo non ha subito interferenze. Eppure…eppure, quando ci ho ripensato, un sorriso mi è affiorato spontaneamente, gli spigoli della mia giornata per un momento mi sono sembrati meno acuminati.
    Non mi faccio illusioni che il vivere urbano possa riconquistare, come per un colpo di bacchetta magica, calore e disponibilità spontanea all’aiuto reciproco. Mi pare però che, nel suo peso infinitesimale, l’episodio cui ho assistito, ribadisca che la qualità del nostro vivere assieme è frutto certamente delle grandi scelte politiche e amministrative, dell’urbanistica e della sicurezza garantita dalle forze dell’ordine, ma questi ingredienti possono guadagnare piena efficacia solo se confortati dalla disponibilità interiore di ciascuno di noi.
    Non può esistere una città a misura d’uomo se quell’uomo non si sente a sua volta coinvolto, parte solidale e amichevole nei confronti di quanti altri con lui condividono lo spazio urbano.
    Spesso ci rimproverano di curare fin quasi all’ossessione gli spazi privati, la casa soprattutto, disprezzando viceversa tutto ciò che è pubblico, nella gradazione che va dal gettare a terra cicche, cartacce, gomme americane, pacchetti di sigarette, bottiglie o lattine, per arrivare agli “insidiosi” escrementi di cane non raccolti, fino agli atti vandalici che danneggiano spazi e strutture di uso comune.
    Se cresce il numero di quanti non si limitano a non commettere azioni sgradevoli, ma agiscono con gesti di rispetto civico, proprio come “quel signore”, o anche soltanto fanno percepire la loro riprovazione nei confronti degli atti negativi a cui prima facevo cenno, qualcosa può iniziare a cambiare.
    Piccoli gesti di convivenza, piccoli gesti di cortesia.
    Essere cortesi è un’arte che deriva da un forte impegno a usare l’intelligenza per capire le circostanze sociali e, in particolare, gli stati d’animo degli altri. Questo impegno, a volte faticoso e dall’esito incerto, può realizzarsi solo quando è sostenuto dalla motivazione di prendersi cura dei sentimenti altrui.
    La persona cortese ha un’anima gentile, sensibile alla sofferenza umana e con un senso di obbligo a fare del suo meglio per alleggerire la fatica del vivere. Questo senso di obbligo, tuttavia, non è pesante, noioso o pericoloso, non sceglie i grandi gesti, i violenti sacrifici o le prediche sublimi.
    La persona cortese e gentile usa con leggerezza, ma con costanza, i mezzi naturali in possesso di tutti gli esseri umani : un po’ di attenzione, un minimo di riflessione, una scelta di parole.
    Per gli esseri umani, la cortesia e la gentilezza sono facili, facili come sorridere.
    E a proposito di sorriso, accoglienza gentile e frequentazione di locali, non citerò contesti urbani noti per la ruvidezza delle relazioni umane… Dirò solo che odio quei negozi nei quali il gestore, o un commesso male addestrato, mi accoglie con un ringhio: “Dica!…”. Invece di dire alcunché, ho subito voglia di uscire.

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