
Le aree abitate sono definite «urbane e vengono chiamate città quando sono caratterizzate da una densità di popolazione e da tassi di interazione e comunicazione relativamente alti» (Bauman, 2007: 81). Dunque, l’elevata densità dell’interazione umana che contraddistingue le città coincide, nei luoghi urbani, con il diffondersi della paura, e cioè con quel tipico sentimento di insicurezza correlato, solitamente, all’incontro-scontro con il diverso.
Come sostiene Ellin,[1] la protezione dal pericolo è stato un incentivo primario alla costruzione delle città, i cui confini erano spesso definiti da mura imponenti o da palizzate. Coloro che rimanevano al di fuori di questi confini erano solitamente i nemici, a cui non era permesso di valicarli. Tali linee di demarcazione permettevano, inoltre, di individuare una distinzione simbolica – e soprattutto rassicurante – tra un noi e un loro. Tuttavia negli ultimi cent’anni, poco più poco meno, la città, da luogo di relativa sicurezza, è giunta ad essere associata più al pericolo che all’incolumità (Ellin, 2003). Per questo si può sostenere che le diverse fonti del pericolo si siano interamente insediate e trasferite nelle aree urbane, e che le categorie identificative del noi e del loro convivano strettamente a contatto mescolandosi nelle strade cittadine (Bauman, 2007).
In chiave antropologica, si può parlare di luoghi (in questo caso di luoghi urbani) come spazi culturalmente connotati, e cioè nel duplice senso che trasmettono cultura essendo però anche contemporaneamente manipolati dai soggetti stessi che li vivono. (Callari Galli, 2007). Detto ciò, si può affermare che lo spazio è sia contenitore che contenuto di cultura; in questo modo si presenta sia come agente della produzione culturale che come agito dal punto di vista culturale. Si vede così come, proprio in questa azione culturale – che viene esercitata nello spazio e sullo spazio –, si possano sviluppare le potenziali divergenze e conflittualità tipiche di quei gruppi e di quelle popolazioni a stretto contatto tra loro e che, per l’appunto, vivono e fruiscono quello spazio attraverso le loro diverse rappresentazioni, simbolicamente e/o culturalmente connotate. Ecco che allora «gli usi e i valori conferiti allo spazio entrano nella costruzione della quotidianità dei soggetti, del loro orizzonte di senso, e questo concorre a performare, quando non propriamente trasformare, gli spazi» (Callari Galli, 2007: 187).
Attualmente, gli sviluppi dei mutamenti che stanno interessando la città vanno anche in questa direzione, e la significatività con cui si manifestano gli indici di diversità al suo interno – attraverso la presenza di estranei sfuggenti, misteriosi ed inquietanti – non fa che incrementare la percezione dell’insicurezza urbana. Quest’ultima però, è bene precisare, fa riferimento ad una pluralità di dimensioni problematiche, le quali non possono essere sempre ricondotte ai comportamenti devianti o agli atti di microcriminalità compiuti dai soggetti diversi che si ritrovano a “scontrarsi” e a vivere insieme. Infatti, l’ambiguità del termine “insicurezza”, e i discordanti punti di vista che nascono da riflessioni in proposito, prendono atto della contingenza delle dimensioni ad esso correlate, rendendo così difficoltosa una presa di posizione in chiave risolutiva, e dunque politica.
Sicuramente, tra queste dimensioni, il cosiddetto degrado urbano e sociale tende ad emergere tra quelle che, maggiormente, contribuiscono ad incrementare il senso di insicurezza percepito (Pavarini, 2008). Come sostiene Pavarini «è degradato quel territorio metropolitano segnato da fenomeni e da comportamenti sociali che nel loro manifestarsi violano norme che ad alcuni (molti o pochi) sembrano condivise, concernenti lo spazio pubblico e una certa regolazione convenzionale del tempo sociale; e questo può manifestarsi per la presenza di fenomeni di disordine fisico (graffiti, accumulo di sporcizia ecc…) e/o sociale (tossicodipendenti, spacciatori, vagabondi ecc…); [oppure] per altre testimonianze di incuria che danno la sensazione di un’Amministrazione pubblica inadempiente e inefficiente» (2008: 117).
C’è da dire, inoltre, che l’insicurezza – anche in riferimento a ciò che si intende per degrado – prende forma da due modi di intendere e di rilevare la sicurezza stessa, e che può essere distinta in: sicurezza oggettiva e sicurezza soggettiva. La prima si riferisce ad un basso rischio di subire reati (e quindi di essere vittima da reati); la seconda, invece, fa riferimento alla percezione prettamente soggettiva di essere al riparo da quello stesso rischio. La complessità che deriva da questa distinzione, pone questi due versanti della sicurezza in un rapporto tra loro problematico: infatti «può accadere che un alto tasso di paura possa non essere collegato a un’oggettiva alta probabilità di vittimizzazione, rilevata in base al numero di reati commessi per zona, ma può accadere anche l’inverso, cioè che un alto rischio di vittimizzazione può non essere collegato ad un corrispondente livello di preoccupazione/insicurezza» (Callari Galli, 2007: 180).
Così, al crescere della percezione di insicurezza, dovuta come visto ad una molteplicità di dimensioni – ma anche distinguibile in base al tipo di sicurezza a cui si fa riferimento –, si rende sempre più pressante una domanda di sicurezza da parte dei cittadini, che si rivolge a chi la governa ponendo inoltre la questione di come le istituzioni possano e debbono rispondere a tale sollecitazione (Sebastiani, 2007). Nella maggior parte dei casi, la costruzione dei problemi di insicurezza urbana – soprattutto nelle rappresentazioni di molti soggetti locali – crea un allarme sociale generalizzato, a causa di una loro maggiore visibilità e concretezza all’interno di un quadro quotidiano di interazioni e contatti sociali, esperiti sul terreno dello spazio della città. Diversamente, poiché si è visto che tali problematiche hanno una natura composita e multidimensionale, questa loro evidente precipitazione spaziale deve essere intesa solo come una conseguenza ultima di processi e percorsi che hanno un origine lontana, e che provengono dunque da emergenze meno manifeste (Bricocoli, 2005). Ecco perché la palese complessità con cui si presentano tali problematiche sembrerebbe richiedere, soprattutto al governo locale, una capacità di ricomposizione dell’azione pubblica «a partire dalla ridefinizione specifica e successiva dei problemi prima ancora che delle “soluzioni”» (Bricocoli, 2005: 174).

Dunque in quest’ottica, e come già è stato già accennato, la sicurezza urbana dovrebbe essere rappresentata come un insieme di problematiche che non possono far riferimento solo ed esclusivamente ad atti criminali o a questioni di ordine pubblico. Seppure molto spesso la domanda di sicurezza viene accolta in questi termini, le strategie di intervento vanno in tutt’altra direzione (Bricocoli, 2005): infatti, invece di costruire delle politiche di carattere comprensivo – che rispondano dunque coerentemente ad una certa complessità – si fa unicamente affidamento all’implementazione di interventi orientati ad una visione fortemente riduttiva. In questo modo, vengono coinvolte le strutture della polizia locale e altri soggetti esterni (vedi soggetti privati per la sorveglianza, gruppi di volontari ecc…) che hanno una maggiore presa, in quanto predispongono – in tempi rapidi – delle risposte maggiormente visibili alle pressanti sollecitazioni dei cittadini.
Come sostiene Bricocoli, in conseguenza di ciò – e quindi in riferimento ad una certa connotazione delle politiche per la sicurezza centrate solo sugli interventi della polizia locale – avviene un doppio processo, che vede da un lato «la sottrazione delle istanze di insicurezza alla problematizzazione che la loro natura composita e articolata invece richiederebbe, e [dall’altro] la sottrazione dal campo dell’azione pubblica di una serie di soggetti ed attori che fanno riferimento al dominio delle politiche e dei servizi sociali» (2005: 174-175). In ultimo, proprio nel merito di queste considerazioni, si può affermare che il tema della sicurezza, e in particolare della sicurezza urbana, funga da “collettore” di tutta una serie di questioni e criticità che, sottratte ad altre rappresentazioni e possibili forme di intervento, vengono convogliate in quello specifico campo di saperi – e di forme d’azione – che fa esclusivamente riferimento al controllo sociale e all’ordine pubblico. Per questo motivo, l’individuazione da parte dei decisori politici della polizia locale come unica risposta plausibile alle diverse problematiche emergenti, rende marginali altri settori del governo locale, che potrebbero rivestire il ruolo di interlocutori privilegiati nella programmazione di interventi ed azioni (Bricocoli, 2005).
Come suggerisce Olivetti Manoukian (2008), la scarsa o debole legittimazione dei servizi (intesi come servizi sociali in senso lato) da parte della cittadinanza, può essere ricondotta al fatto che non accolgono e/o intercettano, in maniera efficace, il disagio sociale che è collegato alla percezione di insicurezza. Dunque si potrebbe supporre che, poiché i servizi intervengono solo laddove viene esplicitamente richiesto, «sono più orientati a svolgere degli interventi individuali che a realizzare lavoro sociale nel sociale» (Olivetti Manoukian, 2008: 4). Questa specifica predisposizione, tende in un certo senso a svilire la potenziale presenza dei servizi sul territorio in termini rassicuranti per la cittadinanza, occupandosi al contrario – ed unicamente – di quelle situazioni che, una volta accolte, vengono trattate secondo le solite procedure standard, per giunta non sufficientemente adeguate a cogliere l’essenza del disagio nella sua globalità (Olivetti Manoukian, 2008).
Infatti, volendo risalire ai tratti prevalenti di questo disagio non si può solo fare riferimento a chi vive in uno stato di deprivazione, di indigenza, di dipendenza da sostanze, ecc… Il disagio sociale, al contrario, ha assunto una pluralità di forme, e va identificato anche – e non solo – nelle difficoltà di interazione che la maggior parte della gente ha con singoli e gruppi diversi, additati molto spesso come unica minaccia o unico pericolo. Inoltre bisogna considerare l’influenza dell’immaginario rispetto al futuro che, mostrandosi così gravido di incertezze per le traiettorie delle singole carriere biografiche, costringe gli individui a focalizzarsi maggiormente sul presente, per difendere il più possibile quello che si è e quello che si ha. L’angoscia derivante dall’esposizione a rischi imprevedibili, pertanto, «si riversa in una pluralità di attese/pretese, in domande che devono ottenere risposte innanzi tutto rassicuranti al di là di quello che specificamente contengono, in paure che devono trovare degli oggetti a cui riferirsi per poter almeno essere nominate» (Olivetti Manoukian, 2008: 4).
Ecco perché si richiede, tanto frequentemente, l’intervento della polizia locale, trasformando in questo modo dei problemi di natura sociale in problemi di ordine pubblico (Olivetti Manoukian, 2008), che necessitano non solo di un controllo capillare sul territorio, ma anche di un trattamento repressivo se non violento. Tuttavia, a fronte delle nuove forme di disagio, gli operatori dei servizi hanno delle conoscenze e competenze molto importanti da valorizzare e, in questo senso, come sostiene Olivetti Manoukian, i servizi possono avere un ruolo decisivo per contribuire a rendere più esplicite e più leggibili le scelte che si fanno rispetto al disagio sociale.
In conclusione è utile dire che la promozione di progettualità e di integrazione degli interventi può offrire ai servizi un’opportunità di contatto e di comunicazione, non solo con chi si rapporta e richiede direttamente quel servizio – perché in uno stato di evidente difficoltà – ma anche con coloro che vivono quel territorio e che, molto spesso, tendono a semplificare i problemi richiedendo soluzioni di stampo autoritario. In questo modo, il compito dei servizi presenti sul territorio risulta cruciale, in quanto essi possono offrire letture meno semplificate di quelle circolanti e indicare «strade un po’ più promettenti di quelle che paiono riscuotere unanimi consensi» (Olivetti Manoukian, 2008: 1).
Francesco Paolo Cazzorla ( Zu Fra )
Bibliografia di riferimento
Bauman Z., 2007, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Bari, Laterza.
Bricocoli M., 2005, Insicurezza, città e politiche in affanno in Bifulco L. (a cura di), Le politiche sociali: temi e prospettive emergenti, Roma, Carocci.
Callari Galli M., 2007, (a cura di), Mappe urbane. Per un’etnografia della città, Rimini, Guaraldi.
Olivetti Manoukian F., Maggio 2008, La domanda di sicurezza può non investire i servizi? Tracce per una discussione pubblica, Rivista Animazione Sociale, Gruppo Abele.
Pavarini M., 2005, Il governo del bene pubblico della sicurezza a Bologna: analisi di fattibilità, 2008, Bologna: riflessioni sul degrado, Bologna, Rivista Il Mulino n°1.
Romania V., Zamperini A., 2009, La città interculturale: politiche di comunità e strategie di convivenza a Padova, Milano, Angeli.
Sebastiani C., 2007, La politica delle città, Bologna, Il Mulino.
Siza R., 2002, Progettare nel sociale. Regole, metodi e strumenti per una progettazione sostenibile, Milano, Angeli.