
Il nostro Paese si è dotato, grazie al meritorio lavoro del gruppo di ricercatori Cnel-ISTAT, di indicatori capaci di catturare il benessere della nazione in modo più accurato di quanto faccia il prodotto interno lordo (PIL). Maria Teresa Salvemini ne ha dettagliatamente dato conto nel suo articolo, auspicando che tali indicatori servano ad orientare la rotta delle future decisioni di politica economica e sociale in direzione di una maggiore equità e sostenibilità, senza le quali uno sviluppo durevole e inclusivo resterà una chimera.
Assume un ruolo decisivo, in questa prospettiva, il tema delle disuguaglianze economiche e sociali, colpevolmente rimosso dal dibattito pubblico italiano di questi anni, tutto ripiegato nella ricerca di modi per accrescere il PIL di qualche decimale.
La fotografia della situazione attuale scattata dai rapporti Cnel-ISTAT (2013) e OCSE (2008, 2011) ci restituisce un quadro a tinte fosche: l’Italia è uno dei Paesi europei dove si misura la più alta concentrazione del reddito disponibile e della ricchezza, e simmetricamente il maggior numero di individui a rischio povertà ed emarginazione sociale. Questa vera e propria “piramide” sociale ha preso forma tra gli inizi degli anni Novanta e la metà degli anni Duemila, a seguito di politiche restrittive sul welfare, congelamento dei salari, privatizzazioni delle aziende pubbliche senza liberalizzazioni dei mercati, deregulation del mercato del lavoro ed “effetti ricchezza” generati da bolle immobiliari e finanziarie (Cfr. Tridico, 2013).
Dinamica Indice di Gini per il reddito disponibile.
Fonte: Elaborazioni su dati Ocse.
Persone a rischio povertà ed esclusione sociale (in %).
Fonte: Eurostat
Tra i molteplici aspetti negativi dell’assetto distributivo che caratterizza il contesto italiano c’è la bassissima mobilità sociale intergenerazionale: i redditi e le posizioni lavorative degli individui dipendono sempre più dalla situazione economica dei genitori e dal luogo di nascita, piuttosto che dalle skills personali (Franzini, 2013). Il rischio che corriamo mantenendo lo status quo è disincentivare la formazione di capitale umano e promuovere un sistema perverso che premia la rendita e penalizza l’innovazione.
Le trasmissione delle diseguaglianze – correlazione tra il reddito dei padri e quello dei figli.
Fonte: Ocse
Per scongiurare questa eventualità, è tempo di mettere in campo politiche incisive e strutturali in grado di mitigare le diseguaglianze inaccettabili dal punto di vista economico, sociale e morale.
Sul mercato del lavoro vanno estese le reti di protezione sociale alle figure contrattuali più deboli e vanno potenziate le politiche di formazione e riqualificazione professionale, oggi gravemente sotto finanziate e inefficaci. Per accrescere la buona occupazione e la qualità delle produzioni, inoltre, va implementata una politica industriale e dell’innovazione che finanzi settori produttivi specifici, evitando inutili sussidi a pioggia. Sui mercati dei beni e dei servizi ancora monopolistici, si dovrebbero adottare politiche della concorrenza per incrementare le possibilità occupazionali degli outsiders.
Va affrontato con coraggio il delicato capitolo delle spese e delle entrate pubbliche. Il settore pubblico italiano intermedia quasi la metà del prodotto sociale, ma incide molto poco sulla dimensione delle disuguaglianze. A questo proposito, una spending review che abbia come bussola l’equità sociale dovrebbe puntare a migliorare la qualità di servizi cruciali quali l’istruzione, la sanità, il trasporto pubblico, l’edilizia sociale, l’assistenza alle famiglie e agli anziani. Il settore pubblico italiano intermedia quasi la metà del prodotto sociale, ma incide molto poco sulla dimensione delle disuguaglianze.
Sul fronte fiscale, infine, andrebbero recuperate le idee di un grande liberale come Luigi Einaudi (1949), che, per raggiungere una qualche forma di “eguaglianza dei punti di partenza, o delle opportunità” tra gli individui – problema fondamentale, oggi, in Italia – raccomandava l’adozione di una forte imposta di successione, accompagnata da un’imposizione meno punitiva per chi produce ed innova.
In ultima analisi, tutti gli interventi dovrebbero essere animati dalla volontà comune di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, come riportato dall’articolo 3 della nostra Costituzione.
Federico Stoppa
Fonte: questeistituzioni
Segnalo che ho ‘postato’ su Sbilanciamici (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Finanziaria-dentro-la-scatola-nera-del-Def-26587 ) il seguente commento:
Imposta di successione
Vincesko
Mercoledì, 15 Ottobre 2014 20:25:19
Citazione: “Per questo l’imposta di successione è così importante”.
Ricavo da “Quell’imposta “liberale” che serve al Paese” by Federico Stoppa https://ilconformistaonline.wordpress.com/2014/10/13/quellimposta-liberale-che-serve-al-paese/ :
IL CONFRONTO INTERNAZIONALE
In Italia la tassa di successione è stata eliminata dal governo Berlusconi nel 2001, e poi reintrodotta, con franchigia molto elevata (1 milione di euro) e con aliquota massima molto bassa (8%), da Prodi nel 2007. In Germania l’aliquota più alta applicabile alle successioni fra parenti diretti è il 50%, in Francia il 48%, in Inghilterra il 40%, negli Stati Uniti il 35% (Fonte: Piketty, 2014); in Belgio addirittura il 60%. Intendiamoci, in nessuno di questi paesi l’imposta costituisce una fonte di prelievo elevata. Ma il gettito fiscale procurato è dovunque maggiore che in Italia.
PS:
Rammento che Pannella defenestrò Capezzone da segretario del PR perché era uno sfaticato.
Come zelante ribaltatore della verità era però un campione.
Ecco perché, come servo ballista di SB, è (era) l’uomo giusto al posto giusto.
Non posso esprimere il mio giudizio sul sedicente socialista Francesco Forte, riciclatosi in protettore dei ricchi, perché sarei censurato.