Il Visitatore, Freud e noi malati

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Aprile 1938. Vienna è stata appena annessa al Terzo Reich. Un barbone ubriaco entra furtivamente in una casa. Dice di essere Dio. Sorprende un vecchio psicanalista che per tutta la vita ha cercato di negarlo, di ridurlo a proiezione della mente umana, a illusione, a nevrosi. Per un’ora e mezzo i due parlano, dibattono, si scontrano su temi come il Male, il senso della vita, il destino dell’Uomo. Fuori, le camicie brune stanno perpetuando crimini contro innocenti. Il vecchio psicanalista è Sigmund Freud, ormai malato e morente.

La pièce teatrale appena presentata è il Visitatore – scritta nel 1993 da Eric-Emmanuel Schmitt e portata in questi mesi nei teatri italiani da Alessio Boni e Alessandro Haber.  Una straordinaria commedia che affronta tematiche “alte” con un registro umoristico, non retorico, a tratti commuovente.

Alessio_Boni-Il-visitatoreFreud è un uomo al culmine della solitudine e della disperazione. Ma rimane intransigente, saldo nel suo ateismo; l’unica forma di dignità che riconosce all’uomo. Non crede a quel clochard che, davanti ai suoi occhi, millanta di essere Dio. Lo psicanalista incalza l’Intruso: “Perché saresti venuto a trovare proprio me, e non un prete o un rabbino?” – “Trovo noioso conversare con gli ammiratori, preferisco altre persone”. Il Matto dimostra di conoscerlo bene. Scava dentro il profondo inconscio di Freud. Parla di quando, da bambino, si trovò solo, senza genitori, a chiedere aiuto. Un grido inascoltato, all’origine del suo pessimismo antropologico e della sua solitudine esistenziale e metafisica. Un bisogno di conforto a cui Dio, stavolta, non si sottrae.

Freud non sta al gioco. Il suo ateismo è radicale, impossibile da scalfire. Il cielo è vuoto,  la vita non ha senso. C’è bisogno di spiegare il perché? Guardatevi attorno. Il Male è ovunque e trionfa; la giustizia è calpestata, i deboli soccombono. Se Dio è buono, allora non è onnipotente; se è onnipotente e permette il nazismo, allora è il più crudele dei tiranni.  C’è un’ultima ipotesi, e la sua sola giustificazione, il suo unico alibi: non esiste. Questo Mondo non è altro che un insieme di particelle che si aggregano in via del tutto casuale, in un vuoto siderale, senza alcuno scopo.

Il barbone ascolta silente lo sfogo del professore, defilato. Poi, come un lampo che squarcia improvvisamente il buio di un cielo sereno, entra in scena. Le sue parole sono dardi infuocati, scoccati contro quello che considera il peccato capitale della nostra civiltà, la nostra malattia: la superbia, che i greci chiamavano hybris, tracotanza. l’Uomo, che prima si accontentava di sfidare Dio, adesso ha preso il suo trono. È diventato Signore assoluto della natura, del corpo, della morale. Ma non c’è stata nessuna liberazione: si sono moltiplicati i delitti, i soprusi, le ingiustizie. L’Uomo “ rivelato” è infelice, muto sulle questioni ultime, insoddisfatto. Se un bambino ti chiedesse: qual’è il senso della vita? Eh Dottor Freud, cosa risponderesti? Nulla.

La voce roca del professore vibra di dolore: ”Se tu sei veramente chi dici di essere fammi un miracolo, o almeno ferma quei criminali là fuori!”

il visitatore in ginocchioIl barbone scoppia a ridere. Ma sentitelo, il grande razionalista Freud: per credere ha bisogno dei miracoli, proprio come il popolino ignorante e superstizioso. La verità, dice il Matto, è che voi uomini siete stupidi, perché vagheggiate un dio dalle sopracciglia curve che dall’alto manda saette per punirvi;  o che sta lì a manovrarvi, come marionette, affinché scegliate sempre la strada giusta. La verità è che volete un dio che compri la vostra fede con il sensazionale. Un dio saltimbanco. Un dio terribile, vendicativo, davanti al quale inginocchiarsi. Non tollerate l’idea di un Dio umile, vestito di stracci, che vi fa dono della libertà di fare il bene come il male; un Dio che si inginocchia davanti a voi; un Dio che lotta al vostro fianco nel dolore, nella sofferenza, nel contrasto al male, Un Dio partecipe e vicino; un Dio d’Amore.

Nella stanza scoppia il silenzio.  I due stanno in ginocchio, abbracciati, come due duellanti a fine incontro. Non ci sono vinti né vincitori. L’aria è satura di dubbi e domande ancora aperte. C’è una sola convinzione che lega i due sfidanti, dopo aver ascoltato la musica di Mozart: l’uomo può curarsi. Questi atomi di bellezza possono salvarlo, dare un senso a ciò che non può capire. Dopo pochi attimi tornerà la figlia di Freud, precedentemente arrestata dalla Gestapo, e il clochard se ne andrà. Con Freud che lo insegue e gli spara dalla finestra, mancandolo.

Il Visitatore lascia al grande psicanalista quest’ultimo messaggio prima di congedarsi:“Hai sempre pensato che la vita fosse assurda, mentre è solo misteriosa”. 

Sipario.

Uno degli attori principali, Alessio Boni, ha spiegato in una recente intervista il senso di proporre uno spettacolo apparentemente così distante dalla sensibilità comune: “c’è bisogno di ritornare a interrogarsi sull’uomo in questo profondo momento di crisi, non solo economica, ma morale. Siamo fagocitati da una società che ci travolge con i suoi ritmi, che ci spinge a correre, lavorare e comprare senza lasciare il tempo per riflettere su chi siamo. Questo è un testo che ti fa fare i conti con te stesso –Lo stesso Freud che credeva che la psicanalisi potesse dare risposte a tutto, senza contemplare il mistero, la spiritualità, il destino,  qui comincia a guardare se stesso e ad aprirsi verso l’Alto».

Da non perdere.

F.S.

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