
La narrazione della crisi che sembra aver attecchito maggiormente nell’opinione pubblica europea è la seguente: abbiamo campato a lungo al di sopra dei nostri mezzi; gli Stati hanno contratto debiti per finanziare spese sociali crescenti ed insostenibili nel lungo termine, condannando le nuove generazioni ad un presente di disoccupazione e povertà. Bisogna rassegnarsi: il modello sociale europeo – pensioni generose, sanità e istruzione pressoché gratuite e universali, sostegni al reddito nei periodi di disoccupazione – che ha garantito, per circa un trentennio, ad un gran numero di individui degli standard di vita mai conosciuti prima, è definitivamente morto. Certo, i giovani subiscono oggi più di tutti – attraverso un drastico ridimensionamento delle loro opportunità di realizzazione professionale – le politiche di austerità fiscale; ma devono sapere che queste sono inevitabile conseguenza dell’ingordigia dei loro genitori e nonni, nonché dell’irresponsabilità di uno Stato sprecone che li ha viziati con elargizioni cospicue per acquisire consensi.
Questo racconto è indubbiamente seducente, ma non ha alcuna evidenza empirica. E’ servito ai governi per legittimare, a colpi di tagli e riforme dettate da organismi non eletti, lo smantellamento della democrazia sociale europea. Un vero e proprio Colpo di Stato, come lo chiama Luciano Gallino nel suo ultimo libro. Un progetto, in verità, portato avanti fin dai primi anni Ottanta dai governi dei maggiori Stati europei – pressati dei “fondamentalisti del mercato” (l’Ocse, Il Fondo Monetario Internazionale, la Commissione Europea) – attraverso la liberalizzazione dei movimenti di capitali e l’abbattimento di ogni vincolo regolativo dell’attività bancaria. Le conseguenze di tali decisioni sui bilanci pubblici e sulle democrazie europee sono state rilevanti.
L’imposizione fiscale è diventata dappertutto meno progressiva per non far fuggire i capitali o per attirare investimenti dall’estero[1]. L’erosione della base imponibile ha fatto si che il finanziamento dei programmi di spesa pubblica venisse attuato con il ricorso al debito e/o con il solo contributo fiscale delle classi medie, sgravando quelle ricche; da qui i malumori crescenti della popolazione verso lo Stato “vessatore” di cui si sono serviti i leaders populisti europei per conquistare consensi (Streek, 2013).
La deregulation finanziaria ha trasformato l’attività bancaria in un casinò. Le banche europee hanno creato fiumi di denaro dal nulla, senza alcun nesso con l’andamento dell’economia reale. Basti pensare che nei maggiori istituti finanziari europei il rapporto tra attivi e capitale proprio (quella che in gergo si chiama leva finanziaria) era, in media, di 30 a 1 (dati 2008 citati in Gallino, pp.117-18). Cioè: le esposizioni creditizie delle banche superavano di trenta volte le risorse che queste avevano in cassa! Così, appena le attività in cui avevano irresponsabilmente investito (soprattutto titoli derivati altamente rischiosi) hanno perso valore, gli istituti finanziari si sono ritrovati con un pugno di mosche in mano e con enormi buchi nei loro bilanci, prontamente ripianati dagli Stati con l’immissione di una gigantesca quantità di denaro. Nello specifico, tra ottobre 2008 e ottobre 2010 la Commissione Europea ha approvato 4600 miliardi di aiuti di Stato per il salvataggio del sistema bancario europeo. A causa di questi interventi emergenziali, nel biennio considerato (2008-10) il debito pubblico aggregato dei paesi Ue è passato da una media del 60% all’ 80% del PIL (dati Eurostat). Da notare che la spesa pubblica per le prestazioni sociali è invece da tempo inchiodata, nei paesi europei, intorno al 27% del PIL .
Altro che debito pubblico causato dall’eccessiva generosità dello Stato sociale, quindi[2]. Altro che Keynes. Il debito pubblico è originariamente lievitato a causa della selvaggia liberalizzazione del mercato dei capitali, che ha comportato la riduzione delle imposte ai più ricchi, e quindi la necessità per lo Stato di prendere a prestito denaro a tassi crescenti; poi, negli ultimi anni, è esploso a causa dalla scialuppa di salvataggio – piena di trilioni di euro – che gli Stati europei hanno gettato alle istituzioni finanziarie in agonia. La grande operazione di occultamento della realtà dei fatti che è stata fatta fino ad oggi è servita in ultima analisi per scaricare i costi della crisi sui ceti medi e bassi e portare avanti un Golpe silenzioso.
Federico Stoppa

Editing grafico a cura di Edna Arauz
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[1] L’aliquota più elevata sui redditi è passata in Europa da una media del 70% negli anni Ottanta al 45% nel 2008; l’imposta sugli utili delle grandi società è scesa di un terzo nello stesso periodo (in Germania addirittura del 50%); infine, i governi europei hanno abolito o ridimensionato le imposte sui grandi patrimoni finanziari e sulle successioni (vedi Fitoussi, 2013, p.86 e Gallino, 2013, p.61).
[2] Anche l’ingente debito pubblico italiano, passato dal 58% al 124% del PIL in soli quindici anni (1980-1994) non è stato determinato, contrariamente a quanto recita la vulgata, da un eccesso di spesa pubblica, che al netto degli interessi è sempre stata al di sotto della media europea; ma alla spesa per interessi sul debito, superiore di circa 7 punti rispetto alla media dell’eurozona. Sulla crescita degli interessi pesò la scelta, fatta nel 1981 dalla Banca d’Italia, di non acquistare più i titoli di stato rimasti invenduti nelle aste pubbliche; lo Stato italiano è stato così costretto a finanziarsi sui mercati a tassi enormemente più elevati (vedi Moro, 2012 e Gallino, 2013, pp.179-80).
.. che la situazione attuale sia frutto dell’avidità e dell’interesse di pochi è ormai un dato di fatto e assolutamente indiscutibile, la maggior parte della gente, al di là di quello che viene propinato dalla carta stampata e dalla tv, sembra averlo ormai capito, ne è prova ciò che sta accadendo ultimamente, dal movimento “dei forconi” ai poliziotti che si tolgono il casco e scelgono di manifestare accanto ai cittadini; c’è un risveglio, c’è voglia di cambiamento, finalmente si torna ad indignarsi e non a subire tutto con stanca rassegnazione.
E’ arrivato il momento per chi ci governa e per la politica in generale, di tornare a lavorare per Paese e non a servizio del potere finanziario, vale per noi come per il resto del mondo.
Detto questo, caro Federico, ho letto tutti i post e ti faccio i miei più vivi complimenti, anche all’altro conformista naturalmente..
chi inizia un cammino sul web, deve affrontare e superare solitamente un grosso ostacolo: emergere e farsi notare nell’immenso mare di internet; a questo proposito ti lascio un link di un apparente pazzo scatenato (o quantomeno non conformista) che su questo argomento ne sa una più del diavolo:
http://it.masternewmedia.org/come-diventare-punto-riferimento-nicchia/
..modificate i meta tag del titolo e della descrizione perchè così come sono, non facilitano l’indicizzazione su mr. Google e compra il libro che ho detto ad Antonella, che è a dir poco illuminante!
passo e chiudo,
un abbraccio e spero che avrai capito ci sono..
Cristina
Cara Cristina,
grazie per tutte le preziosissime informazioni. Sto leggendo il libro che hai consigliato, molto interessante. Risulta comprensibile anche per uno totalmente digiuno di web marketing come me… Ho dato un’occhiata al tuo blog: scrivi molto bene! Inutile dirti che se hai articoli tuoi da proporre li pubblichiamo con molto piacere.
Un abbraccio