Elogio di Gilles, ultimo cavaliere della F1

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Il recente film di Ron Howard, Rush, è stato un grandissimo successo di pubblico e critica. E’ riuscito a coinvolgere anche chi – come il sottoscritto – ha ormai da qualche tempo uno sguardo distaccato e critico nei confronti dell’automobilismo. Il regista, oltre ad aver riprodotto magistralmente lo scontro in pista tra Niki Lauda e James Hunt, ha scavato con acume nella psicologia profonda dei due piloti, risaltandone le diversità caratteriali.

lauda huntDa un parte, l’introverso e algido Niki Lauda. Mente da ragioniere, fredda, calcolatrice.  Mai una frase pronunciata fuori posto, massima professionalità dentro e fuori la pista.  La sua vita è tutta pianificata per conseguire un unico obiettivo: vincere.  Anche le relazioni umane, persino la vita familiare, vanno sacrificate, eliminate, se distraggono la mente dal perseguimento del successo. Dall’altra parte, l’estroverso James Hunt, trasgressivo, mondano, spaccone; che corre per il solo scopo di battere l’avversario e appena ci riesce, si ritira a godersi soldi e fama, campando di rendita fino alla morte. Tant’è che sarà ricordato più come playboy che come campione del mondo di F1.

A ben guardare, il panorama delle corse – e dello sport in generale – è costellato di atleti che presentano, di volta in volta,  la personalità di Lauda o di Hunt. Nella categoria dei robot, per esempio, possiamo annoverare Ayrton Senna, Alain Prost, fino a Mika Hakkinen e Michael Schumacher. Se prendiamo il calcio, penso a Pavel Nedved. Nella categoria dei trasgressivi, invece, il mondo del calcio ci offre George Best, Maradona, Paul Gascoigne, fino a Mario Balotelli.

La razionalità, la costanza nell’impegno, l’estrema competitività, l’ossessione per il risultato contraddistinguono gli uni; e la libertà caotica, sfrenata, esibita fuori e dentro il perimetro di gioco o della pista, la violazione di qualsiasi regola morale, l’amore per il denaro, la ricerca della visibilità mediatica caratterizzano gli altri. Quello che li accomuna è il fatto di sentirsi dei superuomini: vogliono entrambi assomigliare a Dio.

Ora, accanto a queste due grandi tipologie caratteriali, assolutamente dominanti ieri come oggi e non solo nello sport, ce n’è un’altra, minoritaria, che vorrei qui ricordare. Riguardo alla formula 1, si tratta della personalità di un piccolo pilota canadese (1,52 di altezza), Gilles Villeneuve, che in soli quattro anni, tra il 1978 e il 1982, ha rivoluzionato il mondo dell’automobilismo con la sua Ferrari.

gilles gomma rottaChi è, Gilles Villeneuve? Innanzitutto, è l’anti Lauda. Ha il volto da bambino, gli occhi trasognati; è emotivo, timido, taciturno.  Il correre per lui non è un business, non è un mestiere: è una necessità vitale. E’ passione, coraggio, disinteresse. Non è calcolo, gioco di strategia, attenzione spasmodica alle mosse del nemico per sapere dove colpirlo meglio. Gilles se ne frega del risultato, della classifica, delle tattiche che sono la tomba dello sport agonistico. Gli importa solo della velocità; corre per l’unico piacere di sentire, ogni volta, quella scarica di adrenalina incendiargli il petto.

Gilles è l’anti Hunt.  E’ ingenuo, puro. Non gli interessano i tabloid patinati, le bottiglie di champagne e le conigliette di Playboy; non lo attira il mondo di plastica che luccica al dì là del paddock.  Beninteso: non lo invidia né lo depreca, moralisticamente, come fa Lauda quando rimprovera Hunt di sprecare la sua vita nei divertimenti. Semplicemente, è diverso; il suo habitat naturale è un altro, e rimarrà sempre solo quello: la pista, non da ballo, ma da corsa. 

gilles arnouxE in pista dà spettacolo, fa sognare, come nello storico duello con René Arnoux a Digione nel 1979, o nella sfida contro un F104 a Istrana nel 1981. Il suo stile di guida è inimitabile: compie un intero giro su tre ruote; resiste sotto la pioggia senza alettone; tiene dietro – nel GP di Spagna, 1981per ben 50 giri quattro vetture molto più affidabili della sua. Enzo Ferrai, di solito piuttosto freddo con i suoi piloti, lo paragona addirittura a  Tazio Nuvolari.  E lo conferma alla Ferrari nonostante le critiche di giornalisti e tecnici. A chi gli dice che bisognerebbe sbarazzarsi di questo canadese pasticcione, perché “non vince mai”, risponde a muso duro: Gilles è uno dei pochi che corre per passione in questa fogna di soldi. I tifosi si innamorano di lui; anche chi è distante dal mondo della F1 è attratto dalle gesta di questo strano folletto dallo sguardo triste. Tutti gli riconoscono generosità e grande umanità.

Gilles-Villeneuve-fiancata-Ferrari-436x291Gilles sembra un alieno nel pianeta F1 perché ha un senso innato della lealtà e dell’amicizia, che neanche la ferocia della competizione agonistica riesce a scalfire.  Lo dimostra accettando di far vincere il mondiale al suo compagno di squadra del 1979, Jody Scheckter, nettamente meno veloce e bravo di lui. Per questo rimane profondamente scottato quando, nel 1982, il suo nuovo compagno in Ferrari Didier Pironi gli scippa la vittoria a Imola, disobbedendo agli ordini di scuderia e rompendo il bel rapporto di amicizia che fino ad allora li legava. E’ una ferita che sanguina, questa, che gli fa male. Gilles matura dentro un innaturale sentimento di vendetta verso Pironi, che gli sarà fatale otto giorni dopo, durante le prove del Gran Premio del Belgio. La Ferrari numero 27 del canadese, decisa a fare il miglior tempo per battere il compagno, tamponerà a 225 km/h un’altra vettura, prendendo letteralmente il volo. Per Villeneuve non ci sarà niente da fare.

gilles morteGilles chiuderà così la sua breve carriera, vincendo appena 6 Gran premi su 67 corsi, e nessun mondiale. Valutato con il metro dei successi, il suo è un curriculum modesto, da fallito, da perdente. Eppure, pochissimi atleti sono stati così tanto amati, tanto da scatenare una vera e propria “febbre” tra i tifosi del Cavallino. Scrive Enzo Russo: ”Gilles era fatto per colpire l’immaginazione di tutti quelli che nell’automobilismo non vedono soltanto un freddo confronto di tecniche miliardarie. Rappresentava quello che l’automobilismo sarebbe dovuto essere e che non era più da troppi anni…tutti avevano intuito la sua diversità, ciascuno a suo modo…Uomini come lui in altre epoche venivano raccontati e tramandati dai menestrelli, dai poeti cavallereschi, dai cantastorie”.

Miguel de Cervantes l’avrebbe probabilmente descritto come un Don Chisciotte,  l’hidalgo che per sentirsi vivo ha bisogno di principesse da salvare, di castelli da conquistare, di forze del male contro cui combattere. Non importa se è tutto frutto della sua immaginazione, se poi in realtà lotta contro i mulini a vento. Gilles combatteva per il settimo posto come se fosse il primo: con la stessa determinazione, rischiando tutto, anche se la gara era già compromessa.

1950011800La realtà, con il suo cinismo, non smette mai di ricordarci che i vincenti sono altri. Quelli che vogliono il successo; che sono disposti a utilizzare qualsiasi mezzo e scendere a qualsiasi tipo di compromesso pur di agguantarlo. Questo è vero in generale nella vita, figuriamoci nel caso specifico della F1.  Bisogna curarsi degli sponsor, delle conferenze stampa, del denaro.  Non ci si può fidare di nessuno, specie di chi si finge tuo compagno e amico. Gilles non poteva sentirsi a suo agio dentro questo grande e crudele circo.

E’ vero, bisogna tenere conto delle prestazioni, dei risultati. Ma nello sport, come nell’arte, noi inguaribili sognatori continueremo ad ammirare soprattutto la fantasia, il coraggio, la passione, la capacità creativa del singolo uomo, la sua lealtà e onestà. Per questo Gilles Villeneuve ci sarà sempre caro. “Poiché tanto amo che l’uomo dia la sua luce. E non mi importa la povertà del cero. Dalla sola sua fiamma misuro la qualità” (A. De Exupéry).

Federico Stoppa

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2 pensieri su “Elogio di Gilles, ultimo cavaliere della F1

  1. Qualche precisazione al pur bell’articolo.
    Prima di tutto l’altezza che era di 168 cm e non di 152 cm come erroneamente riportato.
    In secondo luogo Gilles ha lottato per vincere il mondiale del 1979 fino al GP d’Olanda, quello del giro su tre ruote.
    La smania di voler tornare assolutamente al box (e lì far riparare l’irreparabile sospensione posteriore) era dovuta alla consapevolezza che quella fosse l’ultima occasione per contrastare il compagno Jody Scheckter (oltre ad Alan Jones e Jacques Laffite)nella corsa al titolo. La classifica mondiale prima del GP d’Olanda vedeva infatti Gilles lontano 6 punti da Jody. Il ritiro lo avrebbe definitivamente allontanato dalla possibilità di vincere quel campionato (il cui punteggio si basava sugli scarti che ogni pilota doveva effettuare nelle due metà della stagione) e fu per questo che Gilles a quel punto decise di aiutare Jody confidando nel fatto che il suo anno sarebbe stato quello successivo. Il gp seguente, infatti fu quello d’Italia e Gilles lo corse da scudiero proteggendo Jody dagli attacchi (invero molto deboli di Laffite e Jones, presto ritiratisi).
    Nell’articolo viene definito Scheckter come “nettamente meno veloce e bravo di Gilles”.
    Bhè, in quell’anno il 1979 su 15 GP, Jody si qualificò per 8 volte davanti a Gilles quindi tanto più lento il buon pilota sudafricano non doveva essere…
    Il 1980 non fa testo, la Ferrari T5 era un trattore e Jody, raggiunto il titolo aveva perso motivazioni e competitività tanto da decidere di ritirarsi alla fine della stagione.
    Nonostante questo Gilles era GIL. Il più spettacolare, caparbio, tenace e spericolato pilota che la F1 dell’era moderna ha mai conosciuto. A lui soltanto (e non perché il destino lo ha fatto piombare sulla lenta March di Jochen Mass quel dannato 8 di maggio del 1982, portandocelo via) abbiamo guardato, trepidando per le sue partenze i suoi sorpassi, le sue manovre al limite del funambolismo (ma come diavolo ha fatto a guidare “alla cieca” in Canada con quell’alettone piegatosi davanti al casco???). Solo di lui Enzo Ferrari disse che gli voleva bene.
    Solo per la lui il pur bravo ma “soporifero” Mario Poltronieri, telecronista di allora (e comunque quanto più bravo rispetto all’incompetente attuale!) ebbe ad entusiasmarsi per i celeberrimi ultimi giri del GP di Francia a Digione nel 1979.
    Solo per lui abbiamo tutti noi affetti da quella febbre che nessun antipiretico poteva far scendere, pianto dolci (GP di Montecarlo 1981) e amare (GP del Belgio 1982) lacrime.
    Grazie di tutto e per tutto, piccolo grande Gilles!

    P.S. certo sono opinioni personali, ma quanta fatica faccio a vedere Senna e Prost sotto la stessa etichetta di pilota robot…

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